L’opposizione liberale ed europeista si fa strada verso il potere in Polonia dopo anni di mandato ultranazionalista.
I risultati ufficiali delle elezioni di domenica scorsa hanno confermato martedì scorso la maggioranza parlamentare del blocco dell’opposizione liberale.
Il partito ultraconservatore di Jaroslaw Kaczynski, a capo del governo, è arrivato primo, per la terza volta consecutiva, ma senza riuscire a raggiungere il sostegno necessario per governare.
Donald Tusk, leader del partito di centro-destra Piattaforma Civica (PO), la principale formazione liberale del paese, ha esortato Duda a prendere “decisioni energiche e rapide”.
Il partito ultraconservatore è sceso di più di sette punti in queste elezioni rispetto ai risultati del 2019, quando ha ottenuto una maggioranza parlamentare di 235 seggi che ha perso durante la legislatura.
L’indipendenza dei giudici e dei media pubblici, saranno due dei primi obiettivi che l’opposizione si fissa se riuscirà a formare un governo.
Queste elezioni erano considerate le più importanti dell’UE quest’anno, perché la Polonia rischiava di essere sull’orlo della cosiddetta PolExit, come l’opposizione ha battezzato la possibilità dell’uscita del paese dall’Unione.
La ripartizione delle scelte elettorali ha rivelato l’esistenza di due Polonie: quella moderna, cosmopolita e liberale, e quella che preferisce la tradizione, la nazione e i valori cattolici.
In verità il governo uscente ha saputo sfruttare con una dinamica populista la sensibilità religiosa dei polacchi che negli anni Ottanta permise l’affrancamento dal comunismo sovietico.
Oggi la realtà è decisamente cambiata grazie all’ingresso del Paese in Europa di cui si colloca al quinto posto come rilevanza demografica.
Valanghe di soldi dell’UE hanno permesso in quest’ultimo decennio un rapido sviluppo infrastrutturale del Paese.
Oggi la guerra in Ucraina ha offerto nuovi indotti per la posizione geografica strategica all’interno della NATO e il crescente interesse degli USA.
È paradossale come il governo uscente avesse sfiducia nell’Europa in coerenza al sovranismo, benché la base popolare si sentisse legata al Continente e il mondo rurale infastidito dalla concorrenza del grano ucraino.
C’è anche una divisione geografica: quello rurale nel nord e nell’ovest è più sviluppato di fronte al sud e l’est, più povero.
Tutto sommato, il reddito pro capite nelle zone rurali è in media di 1.639 sloti al mese (357 euro), rispetto ai 2.098 nelle zone urbane, secondo uno studio pubblicato nel 2022 dall’ufficio polacco di statistica.
Le ristrettezze nei villaggi sono maggiori: il 19,9% vive sotto la soglia di povertà, rispetto al 6,6% nelle città.
Il 49,2% degli aiuti sociali li riceve in queste aree, dove vive il 40% della popolazione polacca.
Il sociologo e analista politico Jaroslaw Flis dell’Università Jagellonica di Cracovia, la seconda grande città polacca, spiega che PiS “è la scelta naturale degli svantaggiati”.
Il sociologo Flis sottolinea che “essere liberali è socialmente naturale nei patrizi polacchi, ma non lo è per il resto della popolazione”.
Quei patrizi, come lui chiama quel settore della popolazione, con un livello di istruzione più alto, vivono soprattutto nelle grandi città.
Anche le opinioni generali sull’aborto, i diritti LGTB o i migranti cambiano man mano che ci si allontana dalla città.
La Chiesa ha contraccambiato i vantaggi offertigli dal governo inserendosi nella campagna politica.
Tutto questo però non ha inciso su un cambio di costume, infatti le unioni di fatto di una minoranza omosessuale esiste egualmente e l’aborto è purtroppo praticato clandestinamente o nei Paesi limitrofi.
Malgrado leggi che incoraggiassero al rispetto della morale cristiana, la frequenza ai sacramenti è rapidamente scesa di un ulteriore 7% durante il governo, pur registrando ancora un 28% di frequenza alla Messa domenicale dei fedeli cattolici. Nel resto d’Europa è ben peggio.
Il divario tra la campagna e la città è anche culturale, anche se l’uso di internet (81,2% contro il 90,6%) lo sta riducendo.
Molte persone nei villaggi consumano grandi dosi di televisione pubblica, piatti tradizionali e ascoltano una musica da ballo popolare degli anni Ottanta, come racconta Marta Klekotko, sociologa dell’Università della Slesia di Katowice, che mette in guardia, tuttavia, da qualsiasi semplificazione e generalizzazione.
Ma il problema principale per PiS in campagna è stata la crisi del grano, che gli è costata voci di proteste da parte di agricoltori scontenti per la destabilizzazione del mercato dopo l’ingresso del grano ucraino.
Il governo ha risolto con un veto unilaterale sull’importazione di prodotti agricoli dall’Ucraina.
Il PiS ha fatto ricorso ancora una volta alla polarizzazione per attivare il suo elettorato.
Oltre alle questioni morali, il partito ultraconservatore ha alimentato questioni che gli hanno funzionato in passato, come la paura della migrazione di origine musulmana, l’odio per la Germania e la sfiducia verso Bruxelles.
Negli ultimi mesi, ha aggiunto un avversario inaspettato: l’Ucraina.
La società polacca si è rivolta all’aiuto ai rifugiati dopo l’inizio dell’invasione russa nel 2022 e il governo ha guidato il sostegno militare e politico a Kiev.
Questo ruolo ha spinto la posizione internazionale di Varsavia, l’ha avvicinata a Bruxelles e le ha fatto guadagnare un certo capitale politico e morale.
Tutto è stato praticamente distrutto quando il PiS ha rilevato problemi nel suo elettorato, soprattutto tra gli agricoltori, colpiti dalla sovrabbondanza del grano ucraino nel mercato nazionale.
Ha anche osservato una fatica sociale nel sostegno all’Ucraina, sostenuta dal partito di estrema destra nazionalista Confederazione, che in estate aveva raggiunto il terzo posto nei sondaggi.
La Polonia ha poi imposto un veto unilaterale sulle importazioni di prodotti agricoli ucraini, rinnovato questo settembre.
Il disaccordo è salito con un incrocio di accuse e squalifiche tra i leader dei due paesi che ha portato le relazioni a un punto di difficile ritorno.
Si annunciano mesi incerti e difficili per la Polonia a causa di una società polarizzata, figlia di una politica che alla visione strategica preferisce la vittoria tattica come accade ormai in quasi tutte le democrazie del mondo.