Di fronte alle immense sfide che il continente deve affrontare per adattarsi al riscaldamento globale, il “nuovo patto finanziario mondiale”, discusso al vertice di Parigi, non deve portare a una lista di promesse destinate all’oblio.
Per due giorni, il presidente francese Emmanuel Macron ha riunito intorno a sé un centinaio di capi di Stato a Parigi – tra cui molti africani – con l’obiettivo di concludere un “nuovo patto finanziario globale”.
Bisogna interpretare il summit come un nuovo cambio di paradigma o uno dei tanti incontri demagogici e fini a sé stessi?
La domanda si ripresenta ad ogni nuovo incontro di questo tipo.
Il riscaldamento globale, i cui effetti si fanno sentire sempre più duramente, si sta accentuando senza che i governanti e del pianeta riescano a prendere le misure drastiche che sembrano essere necessarie per frenarlo – non si parla già da tempo di poterlo contrastare.
Per far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico reso ineluttabile, è quindi il momento della resilienza, dell’adattamento.
Ingiunzioni contraddittorie
Il continente africano, sebbene sia il meno inquinante, è quello in cui le popolazioni pagano il tributo più pesante: siccità, aumento delle acque, calo dei rendimenti agricoli…
La preoccupazione in Africa non è “la fine del mondo, ma come arrivare alla fine del mese”.
È l’equazione apparentemente impossibile nell’attuale sistema economico globalizzato, in quanto unisce due ingiunzioni contraddittorie: l’urgenza dello sviluppo e la lotta contro il riscaldamento globale.
Promesse non mantenute
Gli “aiuti” promessi – alcuni preferiscono parlare del necessario rimborso del debito climatico contratto dai cosiddetti paesi sviluppati nei confronti del Sud globale – si concretizzano troppo raramente nei fatti.
I 100 miliardi di dollari promessi dai paesi ricchi a Copenaghen nel 2009 per ora non sono mai stati versati.
Nel 2020, la soglia degli 83 miliardi di dollari è stata dolorosamente raggiunta e l’Africa ha beneficiato solo di 20 miliardi.
Se tutte le promesse economiche fossero mantenute, la situazione del continente sarebbe, nel migliore dei casi, meno peggiore.
Vertici come quello di Parigi o, tra qualche mese, la COP28 che si tiene a Dubai, possono davvero rispondere alle sfide che ci si presentano?
Kako Nubukpo, commissario togolese dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa) responsabile dell’agricoltura, dell’acqua e dell’ambiente, sostiene una “rivoluzione ecologica e sociale in Africa”.
Propone di basarsi su ciò che chiama “i comuni”, che “si trovano tra il mercato, troppo poco efficiente, e lo Stato, troppo debole e tanto più indebolito dall’adeguamento strutturale e dalla sua dipendenza dagli interessi delle multinazionali e delle grandi potenze.