Un piccolo villaggio a est di Betlemme, simbolo di speranza per molte famiglie palestinesi, è diventato il nuovo epicentro della strategia di annessione israeliana in Cisgiordania. Tra ordini di demolizione, droni che sorvolano e intimidazioni dei coloni, Al Malha vede svanire i suoi progetti di sviluppo, bloccati dalla dichiarazione di “riserva naturale” voluta dal ministro israeliano Bezalel Smotrich.

AL MALHA, IN CISGIORDANIA: DA VILLAGGIO PALESTINESE A “RISERVA NATURALE” ISRAELIANA

Al Malha, un villaggio di 2mila abitanti situato a est di Betlemme, nella Cisgiordania occupata, rappresenta l’ennesimo caso di tensione tra sviluppo palestinese e espansione israeliana. Per anni l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha investito nella zona, costruendo strade e progettando infrastrutture essenziali come una scuola e una clinica. Nel giugno 2024, il consiglio comunale locale è stato ufficialmente riconosciuto dall’ANP, segnando un importante passo avanti per una comunità composta principalmente da beduini e pastori.

Tuttavia, appena un mese dopo, il ministro israeliano Bezalel Smotrich ha dichiarato l’area una “riserva naturale”, bloccando ogni progetto in corso. La decisione, annunciata durante una visita al villaggio accompagnato da centinaia di coloni, ha avuto conseguenze immediate: ordini di demolizione per sei abitazioni, intimidazioni agli abitanti e sospensione dei lavori per le infrastrutture. “Stavamo portando elettricità e acqua, ma tutto si è fermato. La gente ora ha paura di comprare terre qui, i coloni minacciano e i droni ci sorvegliano,” racconta Eish Alayan, vice presidente del consiglio comunale.

Una strategia di annessione mascherata

La dichiarazione di “riserva naturale” è solo uno degli strumenti con cui Israele confisca terre palestinesi, spesso utilizzando cavilli legali come l’interpretazione di una legge ottomana che permette allo Stato di requisire terreni non coltivati per sette anni. Nel 2024, secondo l’ONG Peace Now, Israele ha confiscato 2.370 ettari di terra in Cisgiordania, un record che supera il totale degli ultimi 25 anni combinati.

Ad Al Malha, il piano è chiaro: creare un corridoio libero da palestinesi nel sud della Cisgiordania, collegando le colonie israeliane di Ma’ale Adumim e Tuqoa. “L’annessione è già in atto,” denuncia Issam Aruri del Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center. “Smotrich è solo più esplicito, ma il progetto coloniale israeliano procede da decenni.”

Le conseguenze sulla comunità

La vita ad Al Malha si è fermata. Le case in costruzione sono rimaste incomplete, i progetti per la scuola e la clinica sono stati sospesi e le infrastrutture di base, come elettricità e acqua, restano un miraggio. Gli abitanti, molti dei quali vivono in case di pietra o lamiera, devono fare affidamento su generatori e cisterne, mentre le intimidazioni dei coloni aumentano.

Più in generale, la politica israeliana ha avuto effetti devastanti su tutta la Cisgiordania. Dal 2023, il governo Netanyahu ha legalizzato 70 nuovi insediamenti illegali, autorizzato quasi 9mila nuove unità abitative e demolito 1.600 strutture palestinesi, lasciando 3.600 persone senza casa.

Un futuro incerto

La vicenda di Al Malha è il riflesso di una strategia più ampia: frammentare il territorio palestinese, impedire ogni forma di sviluppo e consolidare il controllo israeliano attraverso una combinazione di confische, demolizioni e violenze dei coloni. Con la dichiarazione di nuove zone militari e il continuo ampliamento delle colonie, la Cisgiordania diventa sempre più un mosaico di aree isolate, rendendo la prospettiva di uno Stato palestinese sempre più remota.

Dalle alture di Al Malha, lo sguardo arriva fino alla Giordania. Ma per i suoi abitanti, il futuro appare sempre più lontano, intrappolato tra le promesse non mantenute e le politiche di occupazione.