La guerra in Ucraina si trascina ormai da anni in un vortice di sangue, propaganda e ambiguità geopolitiche. L’imminente vertice straordinario a Parigi potrebbe rappresentare un crocevia storico per l’Unione Europea: continuare a essere spettatrice subalterna degli equilibri dettati da Washington o assumere finalmente un ruolo autonomo e responsabile nella ricerca della pace. Ma il dibattito pubblico, anche in questa fase cruciale, sembra ancora intrappolato in una retorica bellicista che ignora le radici profonde di questo conflitto.
Le origini dimenticate del conflitto
Il 2014, con i drammatici eventi di Majdan e la successiva guerra civile nel Donbass, è stato il punto di non ritorno. Otto anni di scontri interni, segnati da violenze reciproche e da un’interminabile escalation diplomatica. I negoziati di Minsk 1 e Minsk 2 avrebbero potuto rappresentare un’occasione di tregua, ma sono stati sabotati da una miopia geopolitica che ha visto nell’allargamento a est della NATO una priorità rispetto alla stabilità regionale. La promessa fatta a Mosca nel 1990, secondo cui l’Alleanza non si sarebbe espansa oltre la Germania unificata, è stata infranta con leggerezza e arroganza.
Questa politica dell’“abbaiare della NATO ai confini russi”, come l’ha definita Papa Francesco, non è stata solo una provocazione simbolica, ma un chiaro segnale di un’egemonia occidentale disinteressata ai timori esistenziali della Federazione Russa. Il risultato? Un’escalation prevedibile che ha portato all’invasione del febbraio 2022, con conseguenze devastanti per l’Ucraina, per la sicurezza europea e per la credibilità delle istituzioni internazionali.
La contraddizione del supporto incondizionato
La narrativa dominante nei media occidentali ha dipinto il conflitto come una semplice lotta tra democrazia e autoritarismo. Ma la realtà è molto più complessa. L’ingresso forzato dell’Ucraina nella NATO è stato a lungo il casus belli dichiarato da Mosca. Ignorare questa realtà ha significato alimentare il conflitto, anziché contenerlo.
Gli Stati Uniti, prima con Biden e ora con Trump, hanno dimostrato di essere meno interessati alla vittoria ucraina che alla logorazione russa. La stessa amministrazione Biden aveva inizialmente escluso l’ingresso immediato di Kiev nell’Alleanza, consapevole del rischio di una guerra nucleare. Ora, Trump si muove su una linea ambigua, con un isolazionismo che sa di pragmatismo mercantile: meno impegno diretto, ma massima pressione affinché siano gli europei a sostenere il peso economico e militare del conflitto.
La trappola dell’economia di guerra
L’Europa, nel frattempo, si è lanciata in una corsa al riarmo priva di una visione strategica chiara. La clausola d’emergenza annunciata da Ursula von der Leyen, che esclude le spese militari dal Patto di stabilità, non risponde alle vere esigenze di sicurezza del continente. L’incremento delle spese per la difesa, destinato a finanziare sistemi d’arma di produzione americana, rende l’Europa sempre più dipendente dall’industria bellica statunitense.
La Russia, intanto, produce in tre mesi ciò che la NATO produce in un anno. Un dato inquietante che testimonia non solo la capacità di mobilitazione di Mosca, ma anche l’illusione di poter vincere questa guerra attraverso un’escalation militare. La storia insegna che i conflitti congelati si trasformano facilmente in guerre permanenti, e l’Ucraina rischia di diventare una nuova Siria, un terreno di scontro indiretto tra potenze globali.
La pace: una prospettiva necessaria e possibile
L’apertura di Trump a una possibile mediazione con Mosca è stata accolta con scetticismo e sospetto dalle cancellerie europee. Certo, un accordo di pace sbilanciato potrebbe rappresentare solo una tregua temporanea, il preludio di un conflitto futuro. Ma rifiutare a priori qualsiasi trattativa significa condannare l’Ucraina a una distruzione sistematica, sociale ed economica.
La metafora keynesiana del Trattato di Versailles, che seminò i presupposti per la Seconda guerra mondiale, dovrebbe fungere da monito: una pace punitiva non è mai una pace duratura. Serve una trattativa che tenga conto delle legittime esigenze di sicurezza di Kiev e di Mosca, con garanzie internazionali e una revisione del modello di sicurezza europea.
La miopia dell’Occidente: guerre senza sicurezza
L’Occidente, negli ultimi trent’anni, ha lanciato interventi militari in Somalia, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia e Siria. Con quale risultato? Instabilità cronica, terrorismo transnazionale e flussi migratori incontrollati. Queste guerre non hanno garantito sicurezza, ma alimentato sfiducia e rancore verso l’egemonia occidentale. Putin ha letto questa storia recente e ne ha tratto le proprie conclusioni, interpretando l’allargamento della NATO come una minaccia esistenziale.
L’Europa dovrebbe interrogarsi su quale messaggio di sicurezza stia realmente trasmettendo. L’identità occidentale non può fondarsi esclusivamente sul dominio militare e sulla retorica della deterrenza. Se davvero l’Ue vuole assumere un ruolo geopolitico autonomo, deve abbandonare la logica della guerra per procura e promuovere un’iniziativa diplomatica che coinvolga anche attori come la Cina, la Turchia e, inevitabilmente, la Russia.
Un Bivio Storico
Il vertice di Parigi non dovrebbe essere solo un’occasione per rinnovare impegni bellici e definire nuove strategie di contenimento della Russia. Dovrebbe diventare il momento di un ripensamento profondo. L’Europa deve scegliere se restare il braccio armato delle ambiguità strategiche americane o se diventare finalmente un attore diplomatico credibile.
Il tempo stringe. Ogni giorno di guerra prolunga le sofferenze del popolo ucraino e cristallizza l’isolamento internazionale della Russia. Ma soprattutto mina le fondamenta stesse dell’Unione Europea, nata come progetto di pace e ora risucchiata in una spirale militarista. Solo una scelta coraggiosa e lungimirante potrà evitare che questa guerra si trasformi nell’ennesima ferita irrisolta del XXI secolo.
secondo me non si risolverà nulla.