L’Italia si trova al centro di una tempesta diplomatica e giudiziaria dopo aver liberato e rimpatriato Osama Njeem Almasri, il comandante della famigerata prigione di Mitiga in Libia, ricercato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Almasri non è un personaggio qualunque: è un torturatore seriale, uno stupratore di prigionieri, un aguzzino che ha trasformato la prigione di Mitiga in un lager. Eppure, l’Italia ha scelto di non consegnarlo alla giustizia internazionale, ma di proteggerlo, rispedendolo in patria con un volo di Stato e consegnandolo tra gli onori ai suoi uomini.

Questo non è stato un errore. È stata una scelta deliberata, un segnale inequivocabile che il governo italiano è prigioniero del ricatto delle milizie libiche.

Osama Almasri: il boia di Mitiga

Per comprendere la gravità della liberazione di Almasri, è necessario sapere chi è davvero e quali crimini gli vengono contestati dalla Corte Penale Internazionale.

Dal 15 febbraio 2015, Almasri è stato il comandante della prigione di Mitiga, un vero e proprio centro di detenzione e tortura gestito dalle milizie libiche. Non un carcere, ma una fabbrica dell’orrore, dove centinaia di prigionieri – oppositori politici, migranti, donne, uomini e persino bambini – hanno subito violenze inimmaginabili.

La CPI ha emesso un mandato di arresto internazionale contro di lui per i seguenti crimini:

Crimini di guerra

Omicidi di massa: detenuti giustiziati senza processo, eliminati come pedine sacrificabili.

Tortura sistematica: scariche elettriche, pestaggi, mutilazioni e privazioni prolungate di cibo e acqua.

Trattamenti crudeli e degradanti: violenze fisiche e psicologiche quotidiane per spezzare la volontà dei prigionieri.

Stupro e violenza sessuale: detenuti abusati sistematicamente come forma di punizione e controllo.

Crimini contro l’umanità

Tortura su larga scala: un sistema di repressione che si estendeva ben oltre i confini della prigione.

Violenza sessuale su minori: la CPI ha identificato il caso di un bambino violentato nella prigione di Mitiga.

Detenzioni arbitrarie: uomini e donne arrestati senza accuse e detenuti a tempo indeterminato.

Persecuzione politica ed etnica: arresti e torture mirati contro specifici gruppi della società libica.

La prigione di Mitiga sotto il suo comando era un luogo in cui le persone sparivano nel nulla. Almasri non si limitava a supervisionare questi orrori: era un carnefice attivo.

L’arresto in Italia e la fuga orchestrata

Il 19 gennaio 2025, Almasri è stato fermato a Torino dalle autorità italiane su mandato della Corte Penale Internazionale.

Tutto lasciava pensare che sarebbe stato finalmente consegnato alla giustizia internazionale. Ma dopo soli due giorni, il 21 gennaio, la Corte d’Appello di Roma ha deciso di non convalidare l’arresto, affermando che la richiesta della CPI non era stata trasmessa correttamente al Ministero della Giustizia italiano.

Qui inizia il capolavoro di ipocrisia e complicità.

Il governo italiano, invece di risolvere l’errore procedurale – cosa che avrebbe potuto fare in poche ore –, ha espulso immediatamente AlmasriNon lo ha estradato, lo ha liberato.

Non solo: lo ha fatto partire con un volo di Statoprotetto e scortato, consegnandolo direttamente ai suoi uomini in Libia.

Accolto in patria come un eroe

Invece di essere trattato come un criminale, Almasri è stato ricevuto in patria con gli onori.

Le immagini del suo ritorno in Libia mostrano una folla di sostenitori e miliziani ad accoglierlo, a conferma che non è solo un criminale, ma un pezzo chiave del sistema di potere libico.

Nel frattempo, la Corte Penale Internazionale ha criticato l’Italia, sottolineando che il governo avrebbe potuto facilmente risolvere il problema burocratico senza liberarlo. Ma la scelta italiana non è stata un errore: è stata un atto di sottomissione alle milizie libiche.

Perché l’Italia ha liberato un torturatore?

Dietro questa vicenda c’è una verità inquietantel’Italia è sotto estorsione delle milizie libiche.

Per anni, i governi italiani hanno stretto accordi con i cartelli criminali della Libia per fermare i flussi migratori. In cambio di denaro e legittimazione, le milizie libiche controllano i migranti con la violenza, gestendo veri e propri campi di concentramento dove avvengono stupri, torture ed esecuzioni sommarie.

Almasri non è un semplice delinquente: è uno degli uomini chiave di questo sistema.

Se fosse stato consegnato alla CPI, avrebbe potuto rivelare i legami tra le milizie libiche e i governi occidentali, mettendo in imbarazzo molti attori politici. Per questo motivo, la sua scarcerazione non è stata un caso, ma una necessità per il governo italiano.

Un atto dovuto o una resa alla criminalità?

Il fascicolo aperto dalla Procura di Roma, che coinvolge Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano, non è un attacco politico, ma un passaggio necessario per capire chi ha deciso di sabotare la giustizia internazionale.

Non si tratta di un avviso di garanzia, ma di un atto dovuto, previsto dalla legge per indagare sulle responsabilità politiche dietro questa vicenda.

Ma il governo italiano, invece di spiegare con trasparenza il proprio operato, ha scelto la via della propaganda, attaccando la magistratura e i giornalisti che hanno rivelato la verità.

Conclusione: un governo prigioniero delle sue menzogne

Il caso Almasri non è solo un fallimento morale e diplomatico, ma un segnale inequivocabile della debolezza e del cinismo del governo italiano.

1. L’Italia ha protetto un torturatore, stupratore e assassino invece di consegnarlo alla giustizia internazionale.

2. Ha dimostrato al mondo che le sue relazioni con la Libia sono basate su paura e compromessi inconfessabili.

3. Ha reso evidente che il suo obiettivo non è la sicurezza degli italiani, ma la sopravvivenza politica attraverso patti con criminali di guerra.

Mentre Giorgia Meloni proclama di “non essere ricattabile”, la realtà racconta un’altra storia:

Il suo governo è completamente sotto ricatto.

Se fosse stato libero di agire, avrebbe estradato Almasri. Ma non lo ha fatto. Ha scelto di piegarsi, di consegnare un boia ai suoi complici, garantendogli l’impunità.

Questa non è sovranità.

Questa è resa alla criminalità internazionale.