«Quello che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento d’epoca…». A distanza di dieci anni dalla sua formulazione, possiamo meglio comprendere il significato di questa storica frase che Papa Francesco proferì dinanzi alla Curia Romana all’inizio del suo pontificato.
Questi ultimi dieci anni, infatti, hanno visto un’impressionante accelerazione dei processi sociali, tecnologici, bellici ed economici, ponendo l’uomo del nostro tempo di fronte a una realtà a cui non era in nessun modo preparato.
Pandemie, guerre, crisi ambientali e innovazioni tecnologiche che minacciano la certezza del lavoro (uno studio della Goldman Sachs afferma che 300 milioni di lavoratori saranno presto sostituiti dall’Intelligenza Artificiale) hanno creato una situazione di ansia diffusa che sta diventando, sempre più, un fenomeno di massa, come ho avuto modo di appurare anche attraverso la mia esperienza di medico neurologo. E di fronte a tutto questo, i Governi degli Stati nazionali non hanno altro da proporre che obsolete ideologie basate sulle ragioni della forza e della competizione economica, mentre continuano le attività di sfruttamento ambientale ed umano, e la colonizzazione dei popoli più deboli.
Una situazione che, a ben vedere, sta facendo emergere con evidenza il vuoto esistenziale creato dal mito della “crescita illimitata”, priva di connotati etici e valori spirituali, che caratterizza il nostro tempo.
Ci stiamo avvicinando, probabilmente, alla fine della plurisecolare fase storica contrassegnata dalla concezione del “Cogito, ergo sum”: l’affermazione che limitava il senso dell’esistenza ad una logica prettamente umana, marginalizzando la prospettiva metafisica che costituisce il nucleo della fede.
In questa sofferta temperie, Papa Francesco si erge come l’unico leader mondiale capace di indicare all’umanità smarrita del nostro tempo un rinnovato cammino verso la riscoperta della fede e di un umanesimo in grado di rimettere al centro la dignità di ogni donna e di ogni uomo.
Alla straordinaria formulazione della “Chiesa in uscita” – capace di recuperare (nel rispetto della Tradizione) l’afflato autentico delle prime comunità cristiane, fedeli interpreti del Vangelo di Gesù – si aggiunge ora un’altra potente intuizione: quella della “teologia in uscita”, ossia una teologia capace di «comunicare le verità della fede e trasmettere l’insegnamento di Gesù nei linguaggi odierni, con originalità e consapevolezza critica»: parole, queste ultime, contenute nella Lettera Apostolica “Ad theologiam promovendam” del 1° novembre 2023 con la quale il Pontefice approva i nuovi statuti della Pontificia Accademia di Teologia.
Occorre infatti ricordare che Gesù, per diffondere il suo insegnamento, utilizzava lo strumento delle parabole. E quando i discepoli gli domandano: “Perché a loro parli con parabole?”, Gesù risponde: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del Regno dei Cieli, ma a loro non è dato” (Vangelo secondo Matteo).
Gesù Cristo, dunque, si rapportava alle capacità di comprensione degli uomini del suo tempo, e cercava di comunicare loro il significato spirituale dell’esistenza adottando un linguaggio capace di arrivare alla loro mente e al loro cuore.
Ma nel corso della storia gli uomini sono cambiati: la loro comprensione degli eventi non è più limitata alla circoscritta dimensione dei ritmi agricoli e naturali; la loro mente si è evoluta anche in senso biologico, come attesta la neuroanatomia, che ha riscontrato scientificamente le modifiche avvenute nella corteccia cerebrale e nella specializzazione dell’ippocampo, la struttura che sovrintende ai processi di apprendimento e memoria.
Oggi un cittadino della metropoli, isolato nella sua torre di cristallo, difficilmente potrebbe identificarsi con una parabola basata sul ciclo della semina e del raccolto.
La Verità è immutabile. Il senso della Rivelazione non cambia. Ma per comunicare queste fondamentali verità agli umani occorrono nuovi linguaggi e nuove analogie.
Papa Francesco assegna infatti alla Pontificia Accademia di Teologia, quale interprete della “teologia in uscita”, la missione di «sviluppare, nella costante attenzione alla scientificità della riflessione teologica, il dialogo transdisciplinare con gli altri saperi scientifici, filosofici, umanistici e artistici, con credenti e non credenti, con uomini e donne di differenti confessioni cristiane e differenti religioni».
Sono tematiche di grande complessità, che costituiscono una sfida per «ripensare il pensiero» del nostro tempo. In questa sede mi limito a ricordare una rivoluzionaria scoperta scientifica di cui ho parlato in un mio articolo intitolato “L’esistenza dell’anima e la fisica quantistica”: «Quella materia che a noi appare così solida e tangibile, basata su leggi definite e immutabili, è costituita, in realtà, da un’energia vibratoria che sfugge alle leggi del mondo fisico. La materia, dunque, non sarebbe dotata di un’esistenza sua propria, ma sarebbe una forma di aggregazione provvisoria e più densa dell’energia intelligente che pervade il Creato».
Da questa scoperta scientifica deriva una conseguenza di straordinarie implicazioni: gli esseri umani sono fatti tutti della stessa sostanza e, sia pure nel rispetto del libero arbitrio, sono tutti assoggettati a una medesima legge di natura che li unisce fra loro.
La fratellanza insegnata da Gesù non rappresenta dunque una generica forma di buonismo o un’astratta riflessione morale.
Cancellando la fratellanza, la specie umana è a rischio, come dimostra lo spettro dell’olocausto nucleare che torna, oggi, ad incombere minaccioso.
Ma se la fede dovrà fare tesoro delle scoperte della scienza, al tempo stesso «la ragione scientifica deve allargare i suoi confini nella direzione della sapienza, per non disumanizzarsi e impoverirsi», sottolinea il Pontefice.
Questa è la grande missione che Papa Francesco assegna alla Chiesa, alla scienza e agli uomini del nostro tempo. Per salvaguardare la vita sulla terra e per riportare alla luce il dono della sapienza spirituale che giace nel cuore di ogni uomo.
Una missione di cui dovrà farsi interprete in prima istanza la Pontificia Accademia di Teologia presieduta dal Vescovo Mons. Antonio Staglianò, noto al grande pubblico per la sua intensa attività divulgativa di una “teologia popolare” che parla al cuore della gente. Grande studioso, docente e accademico, Staglianò ha l’umiltà di scendere dalla cattedra per rivolgersi al popolo di Dio e tornare a comunicare, con rinnovata passione, il messaggio del Vangelo. Nel segno della “nuova evangelizzazione” promossa da Papa Francesco.
«Per promuovere la teologia in avvenire non ci si può limitare a riproporre astrattamente formule e schemi del passato. Chiamata a interpretare profeticamente il presente e a scorgere nuovi itinerari per il futuro, alla luce della Rivelazione, la teologia dovrà confrontarsi con le profonde trasformazioni culturali…», scrive il Santo Padre in apertura della Lettera Apostolica – in forma di “Motu Proprio” – “Ad theologiam promovendam”.
Un giorno, forse, si dirà che queste parole hanno rappresentato l’anello di congiunzione fra due epoche.
Articolo pubblicato per gentile concessione da Orbisphera.
L’autore è Perito Neurologo della Diocesi di Roma e del Dicastero per la Causa dei Santi