In una delle azioni legali più significative nella storia recente degli Stati Uniti, più di due dozzine di gruppi religiosi cristiani ed ebrei hanno presentato una denuncia federale contro la politica migratoria di Donald Trump, che autorizza gli agenti dell’immigrazione a entrare nei luoghi di culto per effettuare arresti. La battaglia legale che ne scaturisce non è soltanto una disputa tra sicurezza nazionale e diritti costituzionali, ma un confronto etico e spirituale sulla dignità e i valori fondanti della società americana.

Per decenni, le chiese, le sinagoghe e altri spazi religiosi sono stati considerati “luoghi sensibili”, ossia zone protette dalle retate dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement). Questi luoghi non erano solo centri di culto, ma anche punti di riferimento per le comunità migranti, offrendo assistenza, rifugio e servizi essenziali. La decisione di Trump di revocare questa protezione ha scatenato il panico, portando alla diminuzione della partecipazione ai servizi religiosi e alla sospensione di molte attività sociali delle comunità di fede.

Come sottolinea Kelsi Corkran, avvocato principale dei querelanti, la misura impone alle chiese una scelta impossibile: continuare a offrire accoglienza ai migranti, esponendoli all’arresto, oppure rinunciare a una missione fondamentale della loro fede per paura di ritorsioni. La questione, dunque, non riguarda solo i migranti, ma il diritto delle chiese di esercitare liberamente la propria missione religiosa senza interferenze dello Stato.

L’alleanza tra cristiani ed ebrei contro le deportazioni

Tra i firmatari della denuncia figurano la Chiesa Menonita, la Chiesa Presbiteriana, la Chiesa Episcopale, la Conferenza Centrale dei Rabbini Americani, la Rete Nazionale Latino-Cristiana e la Convenzione Battista Ispanica del Texas. Questa coalizione interreligiosa rappresenta milioni di fedeli e segna un momento storico nella lotta per i diritti civili e religiosi negli Stati Uniti.

Il rabbino Rick Jacobs, della Unione dell’Ebraismo Riformato, ha spiegato che la battaglia legale affonda le sue radici in una memoria storica dolorosa: “La storia del popolo ebraico è una storia di persecuzioni religiose che ci hanno costretti a fuggire ripetutamente. Per questo motivo valorizziamo il principio della libertà religiosa negli Stati Uniti e lo difenderemo con tutte le forze”.

Anche il pastore Carlos Malavé, presidente della Rete Nazionale Latino-Cristiana, ha espresso la posizione chiara delle chiese cristiane: “La Bibbia e la tradizione cristiana parlano chiaramente dell’obbligo di accogliere, servire e proteggere il migrante. Seguire le parole di Gesù significa difendere la dignità di tutti, senza eccezioni”.

Questa posizione non è nuova: molte chiese hanno storicamente offerto protezione ai migranti e si sono opposte a politiche di esclusione. Tuttavia, l’intervento diretto delle forze di sicurezza nei luoghi di culto rappresenta un livello di interferenza senza precedenti, violando apertamente la Prima Emendamento della Costituzione, che garantisce la libertà religiosa.

La paura e il collasso delle comunità migranti

L’impatto della politica di Trump è già tangibile. Le chiese stanno vedendo un crollo nella partecipazione ai servizi religiosi perché molti migranti temono che la loro semplice presenza possa portare all’arresto e alla deportazione. Anche le attività sociali vengono compromesse: molte chiese hanno sospeso le classi di inglese, la distribuzione di cibo e i programmi di assistenza, perché le persone non vogliono correre il rischio di essere intercettate.

Il caso di Wilson Velásquez, citato nella denuncia, è emblematico: arrestato mentre partecipava a un servizio religioso in una chiesa vicino ad Atlanta, Velásquez era un richiedente asilo che aveva rispettato tutti i controlli imposti dall’ICE e aveva una data fissata per la sua udienza. Il suo crimine? Avere un braccialetto GPS alla caviglia, che gli agenti ICE stavano monitorando. Questo episodio dimostra che la politica delle “deportazioni mirate” non si limita ai criminali, come inizialmente dichiarato da Trump, ma colpisce indiscriminatamente chiunque non abbia documenti regolari, indipendentemente dalle sue circostanze.

Un monito dal Vaticano: la voce di Papa Francesco

La controversia ha raggiunto anche il Vaticano. Papa Francesco, da sempre in prima linea nella difesa dei migranti, ha scritto una lettera aperta ai vescovi americani in cui denuncia la brutalità di questa politica. “Ciò che si costruisce con la forza, e non sulla verità della pari dignità di ogni essere umano, comincia male e finirà male”, ha scritto il Pontefice.

Le parole di Francesco non sono isolate. La Chiesa cattolica americana, così come molte altre denominazioni cristiane, ha sempre visto l’accoglienza degli immigrati come un valore evangelico, e la criminalizzazione della loro presenza nei luoghi di culto rappresenta una violazione profonda della missione religiosa.

Un precedente pericoloso: la politica di Trump può ridefinire i limiti del potere statale?

Al di là del dibattito sulla politica migratoria, il caso solleva una questione cruciale: fino a che punto il governo può spingersi nell’interferire con la libertà religiosa? L’autorizzazione agli agenti federali di entrare nei luoghi di culto per effettuare arresti crea un precedente pericoloso, che potrebbe essere esteso in altri ambiti, minando uno dei pilastri della democrazia americana.

Gli avvocati dei gruppi religiosi sostengono che questa politica non è solo un attacco ai migranti, ma un attacco alla libertà stessa. Se oggi il governo può invadere una chiesa per arrestare un fedele senza documenti, domani potrebbe farlo per altri scopi, limitando sempre più l’indipendenza delle istituzioni religiose.

Una battaglia di fede, diritti e giustizia

La causa legale intentata dalle chiese cristiane e dalle comunità ebraiche non è solo una difesa dei migranti, ma una difesa dei principi fondamentali della società americana. Il diritto alla libertà religiosa e alla protezione dei luoghi di culto è un valore che travalica gli schieramenti politici e dovrebbe essere tutelato da qualsiasi amministrazione, indipendentemente dall’ideologia.

Mentre la battaglia legale si accende, resta una domanda fondamentale: gli Stati Uniti vogliono essere un paese che perseguita chi cerca rifugio in una chiesa, o un paese che rispetta la sacralità di questi spazi come ultimo baluardo di umanità e speranza?

Le risposte arriveranno nei tribunali, ma la posta in gioco è molto più alta di una semplice sentenza: riguarda l’anima stessa della nazione.