L’impatto ambientale della guerra è una questione che per troppo tempo è rimasta marginale nel dibattito internazionale. L’attenzione dei governi e delle organizzazioni umanitarie si concentra – comprensibilmente – sulle vittime dirette del conflitto, sulle emergenze sanitarie e sui flussi migratori. Tuttavia, gli effetti devastanti della guerra sul nostro ecosistema non sono meno rilevanti. Ogni conflitto lascia dietro di sé un’eredità tossica fatta di terre contaminate, risorse esaurite, ecosistemi distrutti e un’impronta di carbonio spaventosa, che contribuisce al cambiamento climatico globale.
La guerra e la devastazione ambientale non sono solo una conseguenza inevitabile delle operazioni militari, ma un meccanismo che si autoalimenta: la scarsità di risorse naturali può essere una causa di conflitto, mentre la guerra stessa amplifica la crisi ecologica, rendendo sempre più fragile il nostro pianeta. Questo circolo vizioso rischia di diventare irreversibile se non si adottano misure concrete per proteggere l’ambiente anche in tempo di guerra, un concetto che dovrebbe essere integrato nelle politiche di sicurezza globale e nei trattati internazionali.
La guerra come fattore di devastazione ambientale
Ogni conflitto ha un impatto profondo sugli ecosistemi, spesso con conseguenze che durano decenni. Le strategie militari, le operazioni di bombardamento e l’uso massiccio di munizioni alterano radicalmente l’equilibrio ecologico di intere regioni.
Distruzione delle risorse naturali
La guerra spesso trasforma la natura in un’arma. Le foreste vengono abbattute per privare i nemici di nascondigli, le risorse idriche vengono contaminate intenzionalmente e i terreni agricoli vengono resi inutilizzabili. Questo approccio non è nuovo: durante la guerra del Vietnam, l’esercito americano utilizzò l’Agente Arancio, un potente defoliante, per distruggere la vegetazione e stanare i guerriglieri. Il risultato fu una contaminazione chimica diffusa, con impatti sanitari che ancora oggi colpiscono le popolazioni locali e la biodiversità.
In tempi più recenti, il prosciugamento delle zone umide in Iraq da parte del regime di Saddam Hussein ha distrutto un intero ecosistema e ha costretto le popolazioni locali alla migrazione forzata. Anche in Ucraina, le mine antiuomo e le munizioni inesplose stanno contaminando i terreni agricoli, mettendo a rischio la sicurezza alimentare di milioni di persone.
Guerra e inquinamento: Un nemico invisibile
Uno degli effetti più subdoli della guerra è l’inquinamento diffuso che provoca. I bombardamenti su infrastrutture industriali e impianti chimici rilasciano sostanze tossiche nell’aria, nel suolo e nelle falde acquifere.
• Durante la prima guerra del Golfo, nel 1991, l’Iraq diede fuoco a più di 600 pozzi petroliferi in Kuwait, generando un disastro ambientale senza precedenti: il fumo nero avvolse la regione per mesi, alterando il clima locale e rilasciando tonnellate di particolato tossico.
• Nel 2006, il bombardamento della centrale elettrica di Jiyeh in Libano provocò il rilascio di 15.000 tonnellate di petrolio nel Mediterraneo, con effetti devastanti sulla biodiversità marina.
A Gaza, la situazione è altrettanto drammatica: la distruzione delle infrastrutture idriche e fognarie ha contaminato l’acqua potabile, causando una crisi sanitaria con un aumento esponenziale delle malattie infettive. Inoltre, le macerie degli edifici distrutti spesso contengono amianto e metalli pesanti, sostanze che rendono il suolo inutilizzabile per anni.
L’industria bellica e il peso della guerra sul clima
Uno degli aspetti meno discussi della guerra è la sua impronta di carbonio. Il settore militare è uno dei maggiori responsabili delle emissioni globali di gas serra, ma i dati reali sono spesso nascosti dietro il velo della “sicurezza nazionale”.
Secondo lo Scientists for Global Responsibility, le forze armate e le attività belliche sono responsabili del 5,5% delle emissioni globali di CO₂. Un numero che supera quello dell’intera industria dell’aviazione civile. Il consumo di carburante degli eserciti moderni è enorme: un singolo caccia F-35 brucia litri di combustibile al secondo, mentre i carri armati, le navi da guerra e i trasporti militari alimentano ulteriormente la crisi climatica.
Paradossalmente, mentre molti governi dichiarano di voler ridurre le emissioni e rispettare gli accordi di Parigi sul clima, la spesa militare continua a crescere. E il problema non è solo l’uso diretto di carburanti fossili: la guerra provoca deforestazione, distruzione delle infrastrutture energetiche e incendi incontrollati, amplificando il danno ambientale.
Ripristinare l’ambiente dopo la guerra: Missione impossibile?
Se la distruzione ambientale causata dalla guerra è evidente, la capacità di ripristinare gli ecosistemi danneggiati è molto più incerta. La bonifica delle aree colpite da conflitti è costosa e lunga, spesso richiedendo decenni di interventi.
• In Ucraina, le sole operazioni di rimozione delle mine e di ripristino dei terreni agricoli potrebbero costare oltre 34,6 miliardi di dollari.
• In Kuwait, il recupero delle terre bruciate dai pozzi petroliferi ha richiesto più di vent’anni e miliardi di dollari di investimenti.
• Nelle aree colpite da bombardamenti chimici o uranio impoverito (come nei Balcani), il rischio di contaminazione del suolo e dell’acqua rimane alto per generazioni.
Oltre ai costi finanziari, il recupero ambientale è spesso politicamente ostacolato: i governi in guerra danno priorità alla ricostruzione economica e infrastrutturale, mentre l’ambiente rimane in secondo piano.
Il ruolo della comunità internazionale e della società civile
Di fronte a questa realtà, è fondamentale che la comunità internazionale riconosca l’ambiente come vittima di guerra e agisca di conseguenza. Le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente nei conflitti armati il 6 novembre, ma le misure concrete per limitare l’impatto ambientale della guerra sono ancora deboli.
Cosa si può fare?
1. Includere la protezione dell’ambiente nei trattati di guerra: la Convenzione di Ginevra dovrebbe essere aggiornata per riconoscere l’ambiente come un bene da proteggere, vietando la distruzione intenzionale degli ecosistemi come tattica militare.
2. Monitorare e denunciare i crimini ambientali di guerra: organismi indipendenti dovrebbero essere incaricati di documentare le violazioni ambientali durante i conflitti, per poter perseguire legalmente i responsabili.
3. Destinare fondi specifici per la bonifica post-bellica: gli aiuti internazionali non dovrebbero limitarsi alla ricostruzione urbana, ma includere anche investimenti nella rigenerazione ambientale e nella reintroduzione della biodiversità.
4. Ridurre la dipendenza dalle energie fossili nei settori militari: sviluppare tecnologie per la difesa che riducano le emissioni di carbonio, puntando su combustibili alternativi e strategie a minor impatto ambientale.
La guerra non finisce mai per l’ambiente
Il conflitto armato non lascia solo macerie umane e politiche, ma imprime cicatrici profonde sugli ecosistemi, che possono durare decenni. La devastazione dell’ambiente non è solo una conseguenza collaterale della guerra: è parte integrante del problema e deve essere trattata come tale.
Se vogliamo davvero costruire un futuro di pace e sicurezza, dobbiamo riconoscere che la protezione dell’ambiente non può essere separata dalla prevenzione dei conflitti. L’alternativa è continuare a combattere guerre che, oltre a distruggere popoli e nazioni, stanno letteralmente consumando il pianeta che ci ospita.