Nell’ottobre del 2012, nella piccola cittadina di Farnborough, a sud-ovest di Londra, si gettavano le basi di una delle più controverse operazioni nel settore energetico globale. Protagonisti: i giganti petroliferi occidentali, il ricchissimo bacino di Tengiz in Kazakistan, e un intricato sistema di potere che legava le élite locali a influenti attori internazionali, tra cui la Russia di Vladimir Putin.

Tengiz: una bonanza petrolifera carica di rischi

Il giacimento di Tengiz, un’area di 156 miglia quadrate nel remoto Kazakistan occidentale, rappresentava una delle riserve petrolifere più ricche al mondo. Ma la sua estrazione non era solo una sfida tecnologica: il deserto che lo ospita è politicamente ed ecologicamente sensibile. La regione, con estati a 130°F e inverni gelidi, è un fragile ecosistema che ospita fauna migratoria e risorse uniche come lo storione del Mar Caspio, ormai minacciato.

Le compagnie petrolifere occidentali, tra cui Chevron, ExxonMobil e Shell, erano però disposte a pagare un alto prezzo per sfruttare Tengiz. Il governo kazako, sotto il lungo regime di Nursultan Nazarbayev, aveva stretto accordi con queste multinazionali, apparentemente per portare sviluppo e investimenti. La realtà, come emerge dall’indagine “Caspian Cabals”, condotta dal Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi (ICIJ), è ben diversa.

Corruzione, monopoli e cleptocrazie

L’indagine rivela come i contratti petroliferi siano stati segnati da corruzione, favoritismi e sforamenti di costi multimiliardari. Al centro di questo sistema, Timur Kulibayev, genero di Nazarbayev e soprannominato il “principe del petrolio”. Con la sua rete di società offshore, Kulibayev ha accumulato una fortuna stimata in 10 miliardi di dollari, gestendo affari che intrecciavano petrolio, banche e infrastrutture strategiche come il gasdotto del Caspio.

Uno dei casi più emblematici è il contratto da 2,5 miliardi di dollari assegnato a TenizService, un’azienda legata indirettamente a Kulibayev. Nonostante i palesi conflitti di interesse e i rischi ambientali, il progetto è stato approvato con l’obiettivo di accelerare il trasporto del petrolio. Come emerge dall’ICIJ, dietro questa operazione si celano pagamenti discutibili e procedure di conformità approssimative.

Impatto ambientale e disuguaglianze sociali

Il costo per il Kazakistan è stato enorme, sia in termini ambientali che sociali. Lo sviluppo incontrollato ha devastato le comunità locali: l’inquinamento ha compromesso la salute dei residenti e alterato l’ecosistema. Intanto, i profitti si concentravano nelle mani di pochi. Le proteste contro le condizioni di lavoro e i bassi salari sono culminate nel massacro di Zhanaozen del 2011, quando le forze governative hanno ucciso 17 manifestanti disarmati.

Mentre le élite accumulavano ville in Europa e jet privati, gran parte della popolazione kazaka rimaneva in condizioni di povertà. Gli oligarchi legati a Nazarbayev hanno sfruttato il sistema per arricchirsi, mantenendo il controllo attraverso una combinazione di repressione politica e accordi con partner internazionali.

Geopolitica del petrolio: Russia e Occidente

Non è solo una storia di cleptocrazia locale. Il petrolio kazako è un tassello nella complessa scacchiera geopolitica che collega Asia Centrale, Russia e Occidente. Per anni, gli Stati Uniti hanno cercato di ridurre la dipendenza dal Medio Oriente promuovendo il Kazakistan come alternativa energetica. Ma l’influenza russa ha prevalso. Il Cremlino, attraverso Gazprom e altre società, è diventato il principale beneficiario dei progetti infrastrutturali, rafforzando la propria posizione strategica.

La dipendenza occidentale dalle risorse del Caspio si è così trasformata in un boomerang: i fondi investiti hanno finito per alimentare regimi autoritari e potenziare la macchina geopolitica russa.

Il prezzo del petrolio

Il caso Tengiz è un esempio lampante della “maledizione del petrolio”. Le risorse naturali, anziché promuovere la democrazia e lo sviluppo sostenibile, hanno rafforzato oligarchie e autoritarismi. Mentre le multinazionali cercano di presentarsi come promotrici di progresso, la realtà è che spesso operano in connivenza con regimi corrotti, ignorando i costi umani e ambientali.

In un’epoca di crisi climatica e transizione energetica, il modello Tengiz non è più sostenibile. È tempo che governi, aziende e cittadini si chiedano: quanto siamo disposti a pagare, in termini di etica e ambiente, per ogni barile di petrolio?