La Bibbia rivela che in Dio la creazione non si esaurisce in un atto iniziale di generosa liberalità, ma si consuma in una prospettiva soteriologica, cioè di salvezza.
Si tratta di una condizione di prossimità permanente del Creatore verso le sue creature nella quale, pur rispettando la loro autonomia dinamica, non le abbandona al proprio destino.
La resurrezione di Cristo è una seconda creazione nella quale si manifesta un atto di amore rigenerativo senza pari.
Dio, dopo aver assunto, nella persona del Verbo, la natura umana, sigla con il sangue di Cristo un patto di nuova ed eterna alleanza.
Suggestiva è la teologia profetica di S. Paolo che nella sua lettera ai Colossesi pone la vicenda di Cristo al centro della creazione: “Tutto è stato fatto in Lui, per Lui e in vista di Lui” (cfr. Col 1,15-17).
Alcuni dipinti e icone rappresentano Gesù come un giardiniere.
È un riferimento all’unità di azione delle tre persone della Trinità per le opere compiute fuori del loro movimento interno.
Quando l’immaginazione entra nel giardino della resurrezione, si riproduce nella mente l’incontro di Gesù con Maria di Magdala (cfr. Gv 20,11-18).
L’amore di questa donna verso il Maestro, non è solo frutto di ammirazione.
Maria è riconoscente verso l’autorevole Maestro che l’ha liberata dal cinismo sociale: “Nolite iudicare, ut non iudicemini (non giudicate per non essere giudicati)”.
Maria si reca di buon mattino alla tomba, poiché la sua afflizione non vince l’affezione.
Il dolore, tuttavia, annebbia la percezione delle cose e la Maddalena non riconosce immediatamente Gesù.
Lo scambia appunto per il giardiniere di quel luogo fino a quando si sente chiamare per nome.
La Maddalena allora, diventerà la discepola dei discepoli perché l’incontro con Cristo è risanatore e risveglia in lei l’identità che la sofferenza, chiamata dai mistici “il silenzio di Dio”, aveva sembrato fargli perdere.
Maria di Magdala lascia il giardino, non più scacciata da esso come Adamo ed Eva, ma reintrodotta da una parola di riconoscimento rabbunì, che significa: maestro mio.
La Pasqua di resurrezione, allora, vuole rappresentare per i cristiani un momento di consapevole fiducia nei confronti del Signore.
È una seconda chiamata a quella vita di pienezza e di unità del nostro essere anima e corpo di cui niente e nessuno potrà privarci.
Se la realizzazione piena avverrà nella Parusia, possiamo nella nostra storicità contingente e immanente gustare già i frutti dell’albero della vita che è la croce di Cristo.
Nel cammino esistenziale di ognuno esistono due coordinate: lo spazio e il tempo.
L’Enciclica Evangelii gaudium (la gioia del Vangelo) dichiarando la superiorità del tempo sullo spazio, introduce una terza categoria assiologica: la pazienza.
Nel perenne cammino di conversione dei singoli e delle società, esiste una permanente tensione fra il bene e il male.
Bisogna innescare allora dei processi con l’umiltà di chi potrebbe non sempre raccogliere i risultati sperati nell’arco della sua esistenza.
Il volere tutto e subito è un atteggiamento poco teologale e fortemente egocentrico che, figlio della nostra epoca, ha privato di un saggio discernimento persino gli iniziatori di fondazioni religiose contemporanee.
Il greco biblico ci aiuta a declinare in tre modi i significati cristiani del tempo: l’aiȏn(αἰών) , il chrónos χρόνος e il kairós (καιρός).
Essi corrispondono rispettivamente al tempo donato, al tempo della preoccupazione e della fatica e al tempo opportuno della decisione.
S. Massimiliano Maria Kolbe diceva che la vita di un uomo si dipanava in tre tappe: la preparazione al lavoro; il lavoro stesso e la sofferenza.
Il martire francescano era consapevole che la configurazione a Cristo portasse al Calvario, ma era altrettanto consapevole che la vita del cristiano non si fermava al Venerdì Santo.
Morì infatti alla vigilia dell’Assunzione con tutta la portata di significato di questa solennità.
Maria è infatti il fiore più bello del giardino di Dio, La Rosa Mistica.
Maria è la prima dei redenti essendo Immacolata Concezione.
Maria è la prima dei risorti essendo in Cielo anima e corpo.
Da quando Gesù è risorto ogni prova e persino la morte assume un significato nuovo.
La speranza teologale naturalmente richiede la fede che manca a tanti nostri contemporanei, specie in un Occidente, inteso come categoria sociologica e religiosa più che geografica.
La Creazione non è la scena allestita da Dio perché l’uomo vi reciti il proprio dramma, ma è il processo con cui Dio indica all’uomo il modo con cui rapportarsi allo spazio in generale.
La creazione può essere vista come un “paesaggio cristiano”.
Il paesaggio cristiano infatti è sempre un paesaggio sociale, o meglio, è un paesaggio in cui la socialità e l’incontro, la cooperazione e la convivialità non sono mai dimensioni accessorie rispetto all’ambiente eco-sistemico.
Gli spazi di Gesù sono dei paesaggi sociali e di socializzazione, l’ambiente ecologico della sua predicazione è quello composto dalle folle, dai discepoli e dal gruppo dei dodici. Nel mondo biblico lo spazio è tale perché è un paesaggio da attraversare non da contemplare, né tantomeno da custodire. Gesù ha attraversato campi e strade, ha colmato distanze umane percorrendo vie assolate e polverose.
“Chi non crede in Dio – come diceva Chesterton – non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto”.
Il Dio cristiano è “anche giardiniere” e chiede a ogni uomo, che abita nel giardino da lui creato, di scorgervi la traccia della chiamata alla trascendenza divina.