La risoluzione delle controversie internazionali
In un momento di grande complessità per il futuro equilibrio geopolitico internazionale si percepisce in diversi ambienti istituzionali una preoccupante anestesia percettiva, che annulla e sfuma la linea di confine tra il diritto di difesa e l’annientamento del nemico. Non dobbiamo mai dimenticare che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. La risoluzione delle controverse internazionali è per gli italiani la diplomazia delle culture, l’arte dell’incontro, la creatività della vocazione al bene comune per lo sviluppo integrale dell’uomo. Sfugge alle articolate valutazioni politiche attualmente in campo la negazione della dignità umana connessa al protrarsi della guerra.
Come indicato nella dichiarazione Dignitas Infinita la guerra attacca la dignità umana a breve e lungo termine: «pur riaffermando il diritto inalienabile alla legittima difesa, nonché la responsabilità di proteggere coloro la cui esistenza è minacciata, dobbiamo ammettere che la guerra è sempre una “sconfitta dell’umanità”. Nessuna guerra vale le lacrime di una madre che ha visto suo figlio mutilato o morto; nessuna guerra vale la perdita della vita, fosse anche di una sola persona umana, essere sacro, creato a immagine e somiglianza del Creatore; nessuna guerra vale l’avvelenamento della nostra Casa Comune; e nessuna guerra vale la disperazione di quanti sono costretti a lasciare la loro patria e vengono privati, da un momento all’altro, della loro casa e di tutti i legami familiari, amicali, sociali e culturali che sono stati costruiti, a volte attraverso generazioni». Tutte le guerre, per il solo fatto di contraddire la dignità umana, sono «conflitti che non risolveranno i problemi, ma li aumenteranno».
Altra valutazione non presente nel tavolo politico internazionale è la strategia tesa a diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive promuovendo concretamente la strada maestra della costruzione condivisa del futuro del Pianeta che appartiene a tutti noi. Dobbiamo dichiarare di voler essere il paese della diplomazia per la pace attiva, di lavorare per un multilateralismo operoso come unica strada possibile “adottando la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio”.
La logica binaria del vinto-vincitore non contempla il fatto che un secondo dopo la vittoria militare, con migliaia di vittime civili innocenti, i popoli in conflitto dovranno necessariamente costruire un futuro insieme, spalla a spalla, in armonia e sinergia come se nulla fosse accaduto. Non è cancellando i nemici dallo scacchiere internazionale che possiamo costruire il futuro della nostra casa comune. E’ necessario provare ad affinare l’arma culturale di una nuova diplomazia delle culture per la pace attiva con piccoli passi concreti, dal basso, con umiltà e senso del limite, mettendo insieme talenti delle parti in conflitto in progetti concreti per popoli belligeranti.
Solo nella concretezza del lavoro comune possiamo scoprire che le guerre sono eterodirette da motivi economici di pochi, con logiche tecniciste lontane dai popoli, prospettive economiciste che considerano esternalità negative e meta-economiche le tradizioni, i sogni e le speranze della povera gente.
Papa Francesco sottolinea che «non possiamo più pensare alla guerra come soluzione. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!». Poiché l’umanità ricade spesso negli stessi errori del passato, «per costruire la pace è necessario uscire dalla logica della legittimità della guerra». L’intima relazione che esiste tra fede e dignità umana rende contradittorio che la guerra sia fondata su convinzioni religiose: «coloro che invocano il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra non seguono la via di Dio: la guerra in nome della religione è una guerra contro la religione stessa». Con chiarezza nel Documento sulla fratellanza Umana per la Pace mondiale e la convivenza comune viene indicato che “ le forti crisi politiche, l’ingiustizia e la mancanza di una distribuzione equa delle risorse naturali – delle quali beneficia solo una minoranza di ricchi, a discapito della maggioranza dei popoli della terra – hanno generato, e continuano a farlo, enormi quantità di malati, di bisognosi e di morti, provocando crisi letali di cui sono vittime diversi paesi, nonostante le ricchezze naturali e le risorse delle giovani generazioni che li caratterizzano. Nei confronti di tali crisi che portano a morire di fame milioni di bambini, già ridotti a scheletri umani – a motivo della povertà e della fame –, regna un silenzio internazionale inaccettabile. Le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue.
Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portali a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione, per realizzare fini politici e economici mondani e miopi.”
Sembra necessario fermarsi a pensare, con terzietà di giudizio e spiccato spirito critico, valutando a fondo se sia corretto continuare una carneficina di innocenti avallando la lucida follia che l’unica soluzione alla crisi internazionale che viviamo sia quella di sconfiggere il nemico vincendo sul campo di battaglia una guerra giudicata necessaria e giusta, distruggendo vite, sogni, dignità dei popoli giudicati nemici.
Cospargendoci la cenere sul capo occorre valutare a fondo l’abbraccio misericordioso e fraterno che vede nell’altro un compagno di viaggio verso il futuro del mondo nella logica della sinfonia delle diversità e del multilateralismo da basso, restando ancorati ai valori della pace attiva; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune; a ristabilire la saggezza, la giustizia e la carità e a risvegliare il senso della religiosità tra i giovani, per difendere le nuove generazioni dal dominio del pensiero materialistico, dal pericolo delle politiche dell’avidità del guadagno smodato e dell’indifferenza, basate sulla legge della forza e non sulla forza della legge.
Sembra ineludibile una valutazione congiunta inter e transdisciplinare tesa ad immaginare una nuova strada oltre la logica dei blocchi contrapposti. Una neutralità dinamica dei territori attualmente in conflitto vocata ad affrontare le più cogenti sfide per il futuro del Pianeta. Ribaltando il copione dello scorso secolo è possibile immaginare che dallo scontro possa nascere l’incontro di eccellenze. In tale prospettiva l’ecologia integrale non è un semplice contenuto, una dottrina, una competenza e non è nemmeno una prassi di cura ambientale, sia pur nutrita da una pedagogia e anche da una spiritualità adeguate. E’ un’attitudine a riconoscere connessioni, più che a produrre spiegazioni, a innescare processi, più che a congegnare strategie, ad esplorare domande, più che a elaborare risposte, a far dialogare le differenze, più che a intrecciare convergenze.
Come indicato da Papa Francesco nell’ Enciclica Laudato Si’ “L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente. Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere”. L’ecologia integrale è inseparabile dalla nozione di diplomazia delle culture, multilateralismo, neutralità attiva, bene comune. E’ «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente». Il bene comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Come indicato nella dichiarazione Dignitas Infinita, “uno dei fenomeni che contribuisce considerevolmente a negare la dignità di tanti esseri umani è la povertà estrema, legata all’ineguale distribuzione della ricchezza. Come già sottolineato da san Giovanni Paolo II, «una delle più grandi ingiustizie del mondo contemporaneo consiste proprio in questo: che sono relativamente pochi quelli che possiedono molto, e molti quelli che non possiedono quasi nulla. È l’ingiustizia della cattiva distribuzione dei beni e dei servizi destinati originariamente a tutti». Inoltre, sarebbe illusorio fare una distinzione sommaria tra “Paesi ricchi” e “Paesi poveri”: già Benedetto XVI riconosceva, infatti, che «cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità. Nei Paesi ricchi nuove categorie sociali si impoveriscono e nascono nuove povertà. In aree più povere alcuni gruppi godono di una sorta di super sviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante. Continua “lo scandalo di disuguaglianze clamorose”» dove la dignità dei poveri viene doppiamente negata, sia per la mancanza di risorse a disposizione per soddisfare i loro bisogni primari, sia per l’indifferenza con cui sono trattati da coloro che vivono accanto a loro.” Con Papa Francesco si deve pertanto concludere che «è aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che “nascono nuove povertà”.
In tale prospettiva è necessario immaginare nuovi dispositivi di benessere e sicurezza sociale per lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante iniquità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà. Questa dinamica, a ben vedere, è una prospettiva costituzionalmente orientata dall’articolo 2 della Costituzione Italiana “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Se, dunque, l’ecologia integrale è visione, dinamica, processo, paradigma è necessario cogliere dal suo impulso a un cambio di sguardo verso una convocazione dei talenti per il futuro di pace e bene per tutti gli abitanti del pianeta, superando la logica dei blocchi contrapposti, dei vinti e vincitori.
E’ una luminosa opportunità per promuovere una nuova grammatica dei piccoli gesti, una logica di concura sinodale con dialogo aperto e autentico, a tutto campo, partendo da piccole azioni di cura delle ferite comuni, dal pane, dall’acqua, dalla cura delle ferite comuni alla tutela sul campo della dignità ontologica. Con particolare riferimento al futuro è necessario rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale nelle opposte fazioni, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione alla costruzione politica, economica e sociale della nostra casa comune. Parallelamente, è necessario contribuire scientificamente allo sviluppo di uno sguardo sulla complessità, sulla diplomazia delle culture, sulle chiavi culturali per la pace attiva, sulle interconnessioni tra fenomeni ecologici, economici, sociali, culturali. In particolare, è necessario promuovere una visione utile per affrontare le sfide politiche inedite ed epocali del nostro tempo: transizione ecologica, transizione digitale, crisi energetica e sociale, rapporto tra migrazioni e uguaglianza-solidarietà per la dignità integrale, uso efficiente e circolare di risorse limitate, disuguaglianze e sinfonia della diversità, partecipazione alla vita pubblica e alle scelte collettive, cultura della pace attiva e collaborazione reciproca per il bene comune. Nella Laudato si’ si punta sulla collaborazione tra le religioni per incentivare la cura del creato.
E proprio a commento della sapienza Islamica espressa dal mistico sufi Al Kawas si fa rifermento al dottore francescano Bonaventura da Bagnoregio, quasi a sottolinearne la sintonia: “C’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero (Ali Al Kahwwas). L’ideale non è solo passare dall’esteriorità all’interiorità per scoprire l’azione di Dio nell’anima, ma anche arrivare a incontrarlo in tutte le cose, come insegna san Bonavantura: La contemplazione è tanto più elevata quanto più l’essere umano sa riconoscere Dio nelle altre creature” (LS, 233). In tale proscenio, il paradigma dell’ecologia integrale consente di rileggere la realtà politica, economica e sociale, aprendo le porte a nuove interpretazioni e codificazioni a partire dalla vita di relazione tra uomo e natura. Un nuovo approccio olistico e poliedrico caratterizzato dall’alta interattività di diverse aree scientifico-disciplinari, necessario per innescare una riflessione sofisticata e innovativa sui più complessi problemi internazionali, con una sensibilità culturale propria del dialogo culturale transdisciplinare. Un’ innovazione nella tradizione, uno sguardo nella vie delle culture che convoca un approccio sistemico e transdisciplinare in cui il modello di riferimento e di risoluzione dei problemi «non è la sfera dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro», ma «il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità».