Donald Trump non ha mai smesso di essere un personaggio televisivo, nemmeno quando ha assunto il ruolo di Presidente degli Stati Uniti. La sua intera carriera politica è, in realtà, un’estensione diretta della sua esperienza nei media, un enorme show di intrattenimento in cui la politica è spettacolarizzata, i conflitti sono drammatizzati e la narrazione è costruita con logiche da reality show.
Nel suo primo mandato, il disprezzo per i media tradizionali, l’uso spregiudicato dei social e la strategia della “disinformazione controllata” erano già centrali. Oggi, nel suo secondo mandato, la Casa Bianca è sempre più un palco in cui la verità è manipolata per adattarsi allo spettacolo, mentre i giornalisti vengono marginalizzati o costretti a entrare nel “gioco”.
Non è un caso che il primo briefing stampa della nuova amministrazione abbia rievocato il caos e la tensione del primo mandato: attacchi ai media, manipolazione della realtà e selezione accurata di “voci alternative” per pilotare la narrazione.
Ma per capire davvero cosa sta accadendo, bisogna guardare al passato.
“The Apprentice”: il modello narrativo della presidenza Trump
Per oltre un decennio, Donald Trump è stato il volto di “The Apprentice”, un reality show in cui imprenditori in erba si sfidavano per ottenere un contratto con lui. Era lui il giudice supremo, il decisore, il dominatore della scena.
I meccanismi narrativi del programma erano semplici ma efficaci:
1. Drammatizzazione costante – Ogni episodio costruiva tensione attraverso scontri, eliminazioni e colpi di scena.
2. Un leader autoritario e imprevedibile – Trump decideva il destino dei concorrenti con frasi lapidarie come “You’re fired”, creando un’immagine di potere assoluto.
3. Il culto della personalità – Il programma rafforzava l’idea di Trump come businessman geniale e risoluto, nonostante molte delle sue aziende fossero in difficoltà nella realtà.
4. La creazione di eroi e nemici – Nel reality, alcuni concorrenti diventavano alleati, altri venivano umiliati e scartati, mantenendo alta l’attenzione del pubblico.
Trump ha traslato questi stessi schemi alla sua presidenza. Gli avversari politici sono trattati come concorrenti da eliminare, la stampa è il nemico, le decisioni sono teatrali e annunciate come colpi di scena, le alleanze sono volatili.
Quando nel 2015 scese in politica, molti sottovalutarono la sua candidatura. Ma in realtà, Trump aveva già dieci anni di esperienza nel plasmare una narrazione vincente per il pubblico televisivo americano.
Dalla Casa Bianca a un set televisivo permanente
Oggi Trump non governa, dirige uno spettacolo.
Ogni sua apparizione è calibrata per creare un effetto scenico, ogni crisi è trasformata in un colpo di scena, ogni conferenza stampa diventa uno scontro per il controllo della narrazione.
Nel secondo mandato, questa dinamica si è accentuata con decisioni che smantellano il giornalismo tradizionale e favoriscono una nuova generazione di media compiacenti:
• Accrediti stampa concessi a influencer, blogger e canali di estrema destra. L’obiettivo è sostituire i media tradizionali con una narrazione più controllata e polarizzante.
• Esclusione progressiva dei giornalisti critici – Il licenziamento di Jim Acosta dalla CNN e la crescente acquiescenza dei grandi network ne sono una prova.
• Attacchi sistematici al fact-checking – La propaganda della Casa Bianca ha come strategia dichiarata il “flood the zone”, cioè l’inondazione dello spazio pubblico con disinformazione tale da rendere impossibile distinguere la verità dalla menzogna.
Questa strategia segue il modello del “gossip contro il giornalismo”: ogni accusa nei confronti di Trump viene bilanciata da una contro-narrazione spesso infondata, ma virale.
La spettacolarizzazione della politica: dalle deportazioni ai raid in diretta
Nel primo mandato, Trump aveva già giocato con le logiche televisive. Ma oggi la sua presidenza è un reality totale.
• Le deportazioni degli immigrati sono accompagnate da troupe televisive – I raid a Chicago sono stati seguiti da telecamere di “Dr. Phil”, un programma filo-Trump.
• Le operazioni di polizia diventano eventi mediatici – La ministra della sicurezza si filma con giubbotto antiproiettile mentre partecipa a retate a New York.
• Le dichiarazioni di Trump sono volutamente eclatanti – Nei giorni scorsi ha affermato di aver “ordinato una missione per fermare le inondazioni in California” e di aver “vinto il voto giovanile con il 36%”, entrambi dati falsi.
Tutto è costruito per alimentare il ciclo di notizie e mantenere costante l’attenzione del pubblico.
Un’informazione più debole e allineata
L’aspetto più preoccupante di questa evoluzione è che, rispetto al passato, i media sembrano molto più deboli nel contrastare questa narrativa.
• Meta (Facebook) ha patteggiato con Trump per il bando imposto quattro anni fa.
• ABC e CBS hanno conciliato cause di diffamazione intentate dal presidente.
• L’oligarchia dei media si è consolidata, con editori come Jeff Bezos (Washington Post), Patrick Soon Shiong (Los Angeles Times), David Zaslaw (CNN) e Rupert Murdoch (Fox) che controllano l’informazione su scala globale.
Il risultato? Un giornalismo meno aggressivo, più prudente e meno capace di contrastare la manipolazione della realtà.
Dove stiamo andando?
La presidenza Trump è un prodotto televisivo a ciclo continuo, un reality in cui la realtà stessa è distorta, manipolata e messa in scena per ottenere il massimo impatto emotivo.
• La stampa tradizionale è marginalizzata
• I social media amplificano la narrazione ufficiale
• Ogni evento è spettacolarizzato
• La propaganda è travestita da intrattenimento
Se questo modello si consolida, il rischio è che la politica smetta del tutto di essere un processo democratico e diventi puro spettacolo.
Trump ha capito che il potere non si esercita più con la legge, ma con la narrazione. E in un mondo in cui la percezione conta più della verità, chi controlla la storia controlla tutto.