Nel Darfur, una nuova ondata di violenza sta attraversando i villaggi, ma questa volta il silenzio del mondo è assordante. “Poi hanno accumulato i bambini e hanno sparato loro”, ha detto un testimone a Human Rights Watch. Questa è la testimonianza di un massacro, ma dietro ogni sparo si cela un’arma ancora più atroce: lo stupro di massa, utilizzato come strumento di guerra.

I rifugiati sudanesi che attraversano il confine con il Ciad fuggono dalla fame, ma c’è un orrore più profondo che li spinge: le donne e le ragazze vengono violentate in massa dalle milizie arabe delle Rapid Support Forces (RSF). “Ci sono così tanti stupri”, ha detto Suad Urqud, rifugiata con una figlia di 2 anni che soffre di malnutrizione. Ha raccontato come nel suo villaggio quattro ragazze, tra i 15 e i 20 anni, siano state violentate pubblicamente per terrorizzare la popolazione e costringerla a fuggire.

Quello che sta accadendo in Darfur non è un semplice incidente di violenza sessuale, ma una politica deliberata. Lo stupro viene usato per disgregare le comunità, umiliare le donne e costringere gli afro-neri a fuggire. I racconti dei rifugiati parlano di stupri non solo come atto di violenza, ma come arma di guerra, esattamente come vent’anni fa, durante il genocidio.

Ogni donna che tenta di lavorare nei campi per sfamare i propri figli viene aggredita e violentata. Gli uomini, se osano farlo, vengono uccisi. Di fronte a questa brutalità, le comunità sono paralizzate: incapaci di coltivare, impossibilitate a difendersi. Le RSF, eredi delle stesse milizie che perpetrarono il genocidio, continuano a seminare terrore e disperazione.

Quasi tutte le donne con cui ho parlato al confine con il Ciad conoscono qualcuno che è stato violentato. Alcune raccontano con dolore come abbiano visto le loro vicine violentate sotto i loro occhi, altre parlano di giovani ragazze che sono state sfigurate dalla violenza. Una giovane madre, dopo aver detto che era stata risparmiata, ha trovato il coraggio di confessare di essere stata violentata solo sei giorni prima, con il suo bambino presente, gettato a terra mentre gli aggressori la brutalizzavano.

Questi racconti strazianti non sono solo una testimonianza di sofferenza individuale. Sono il segno di una strategia pianificata per destabilizzare intere comunità, per farle piegare sotto il peso del terrore e della vergogna. Il Sudan sta affrontando una delle peggiori crisi umanitarie della storia recente, e lo stupro viene usato come strumento per accelerare la distruzione sociale.

Non possiamo permettere che questa atrocità venga ignorata ancora una volta. La comunità internazionale deve reagire con forza, non solo fornendo aiuti umanitari, ma anche imponendo sanzioni severe contro i responsabili di queste violenze. Gli Emirati Arabi Uniti, accusati di alimentare il conflitto con forniture di armi alle RSF, devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni.

Il silenzio della comunità internazionale equivale a complicità. Le donne del Darfur non possono essere lasciate sole a subire questa violenza. Lo stupro come arma di guerra è un crimine contro l’umanità, e ogni giorno di inazione è una ferita che si approfondisce.

Le parole “mai più” devono diventare una realtà, non solo uno slogan vuoto. È tempo di agire, prima che un altro genocidio venga consumato sotto i nostri occhi.

La brutalità che si sta consumando nel Darfur, con lo stupro sistematico utilizzato come arma di guerra, rappresenta una delle più grandi vergogne del nostro tempo. Non si tratta solo di violenza contro le persone, ma di un attacco alla dignità umana stessa. Ogni giorno di silenzio, ogni giorno in cui il mondo sceglie di non agire, è un giorno in cui i carnefici continuano a mietere vittime con la più assoluta impunità.

L’indifferenza globale non può più essere tollerata. Le donne, i bambini, gli uomini del Darfur stanno affrontando atrocità inimmaginabili, e noi non possiamo permettere che tutto ciò accada nell’ombra. La comunità internazionale deve alzare la voce, deve imporre sanzioni, deve fermare il flusso di armi e, soprattutto, deve fare pressione affinché la giustizia prevalga. Ogni leader mondiale che si riunisce in conferenze internazionali deve guardare queste vittime negli occhi e chiedersi se può davvero voltarsi dall’altra parte.

Il Darfur ha già vissuto un genocidio, e oggi rischia di riviverlo. Le promesse di “mai più” si svuotano di significato ogni volta che il mondo resta in silenzio di fronte a queste atrocità. È il momento di dimostrare che l’umanità ha imparato dalle sue passate tragedie. Non possiamo più permettere che le parole restino tali. È il momento di agire, perché nel Darfur, mentre il mondo guarda altrove, stanno morendo non solo le persone, ma anche la nostra coscienza collettiva.