Don Giovanni Bosco non fu solo un educatore o un sacerdote devoto: fu un riformatore sociale, un uomo in anticipo sui tempi, capace di capovolgere il sistema con una pedagogia rivoluzionaria basata sulla giustizia sociale, il lavoro dignitoso e l’inclusione. In un’epoca segnata dall’emergere della società industriale e dalle sue profonde disuguaglianze, Don Bosco si schierò senza esitazioni dalla parte degli ultimi, promuovendo una visione alternativa di progresso: un progresso che non lasciasse indietro i più vulnerabili.
Il suo modello educativo e sociale non si limitò a sfamare e accogliere i giovani emarginati nelle periferie di Torino, ma li rese protagonisti attivi del proprio futuro. Fu un’utopia concreta, realizzata attraverso il lavoro, l’istruzione e la difesa dei diritti di chi, altrimenti, sarebbe rimasto schiacciato dalla miseria e dallo sfruttamento. Oggi, la sua opera resta un punto di riferimento essenziale nel dibattito su educazione, inclusione e giustizia sociale.
Un rivoluzionario della cultura e della giustizia sociale
Nella seconda metà dell’Ottocento, Torino era una città in trasformazione. La Rivoluzione industriale, ancora agli inizi in Italia, attirava migliaia di contadini dalle campagne piemontesi alla ricerca di una vita migliore. Ma per molti il sogno si tramutava in incubo: lavoro minorile, sfruttamento, povertà estrema. I bambini e gli adolescenti più deboli finivano per strada, abbandonati, senza prospettive, vittime di un sistema che li considerava “scarti”.
Don Bosco comprese che l’educazione era l’unica arma per riscattare questi giovani e dare loro dignità. La sua pedagogia preventiva, basata su ragione, religione e amorevolezza, non si limitava a istruire, ma mirava a formare uomini liberi e responsabili. Come scriveva negli Appunti storici dell’Oratorio di San Francesco di Sales (1862):
“Ogni anno è stato possibile collocare diverse centinaia di giovani presso buoni imprenditori con i quali hanno imparato un mestiere. Molti tornarono alle loro case più docili e obbedienti; alcuni continuarono il loro lavoro a casa nostra, altri si dedicarono all’insegnamento, altri ancora intrapresero carriere civili.”
Queste parole mostrano il vero obiettivo del santo torinese: non offrire un’assistenza fine a se stessa, ma costruire opportunità reali per il futuro dei giovani.
Oltre la beneficenza: il diritto a una vita degna
L’opera di Don Bosco non si fermò alla carità. Egli si spinse oltre, mettendo in discussione il sistema economico e sociale del suo tempo. Si accorse che nutrire e ospitare i ragazzi non era sufficiente: bisognava garantire loro diritti e protezione in un mondo che li considerava solo manodopera a basso costo. Per questo, anticipò di oltre un secolo la moderna legislazione sul lavoro minorile.
Fu lui a redigere i primi contratti di lavoro per proteggere gli apprendisti dagli abusi dei padroni, a chiedere orari sostenibili, a battersi affinché il lavoro fosse un’occasione di crescita e non di sfruttamento. In un’epoca in cui non esistevano tutele, Don Bosco mise il lavoratore al centro, contribuendo a costruire un modello di società più giusta.
Il suo motto era semplice, ma rivoluzionario:
“Dare di più a chi ha meno”.
Era un’idea radicale, che scardinava la mentalità borghese e preindustriale. Non si trattava solo di carità, ma di giustizia: una redistribuzione delle opportunità che avrebbe permesso ai giovani emarginati di costruirsi una vita dignitosa.
Un profeta della modernità: inclusione e protagonismo giovanile
Don Bosco non si limitò a criticare l’ingiustizia: costruì un’alternativa. Con la sua “opera degli Oratori”, trasformò le periferie torinesi in un laboratorio di riscatto sociale e speranza. Qui, i giovani non erano solo destinatari di aiuto, ma attori del cambiamento.
Nel suo progetto educativo, i ragazzi venivano accolti, formati, valorizzati. La scuola non era solo un luogo di apprendimento, ma una comunità dove si imparava a vivere insieme, nel rispetto reciproco. L’educazione era un diritto, non un privilegio.
Oggi, in un mondo segnato da disuguaglianze sempre più profonde, il messaggio di Don Bosco suona attuale più che mai. La sua visione di una società inclusiva e accogliente, in cui nessuno è lasciato indietro, è una sfida ancora aperta.
L’eredità di Don Bosco: una lezione per il presente
L’intuizione di Don Bosco anticipò i diritti umani di un secolo. Molto prima che il mondo proclamasse la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), lui già lottava affinché ogni giovane avesse accesso all’educazione, al lavoro dignitoso e alla libertà.
Fu, in un certo senso, un dissidente: non contro un regime, ma contro un modello di sviluppo escludente e diseguale. Sferrò un colpo contro l’indifferenza della società borghese, costringendola a confrontarsi con la realtà degli ultimi.
Oggi, in tempi di incertezza economica e di migrazioni forzate, la sua eredità ci interroga:
• Stiamo costruendo una società che dà a tutti le stesse opportunità?
• Ci stiamo impegnando per l’educazione dei più fragili o stiamo lasciando indietro intere generazioni?
• Stiamo difendendo i lavoratori o li consideriamo solo strumenti di produzione?
Don Bosco ci ricorda che un’altra realtà è possibile: una società più giusta, in cui ognuno abbia la possibilità di costruire il proprio futuro con dignità e speranza.
Il suo messaggio resta una bussola per il nostro tempo, un’utopia concreta che continua a ispirare chi crede in un mondo più giusto, più umano e più solidale.