Il tragico episodio di Viareggio, in cui Cinzia Dal Pino ha investito e ucciso l’algerino Said Malkoun, è più di un singolo caso di cronaca nera: rappresenta un segnale d’allarme per la nostra società. Il fatto che una donna reagisca in modo così violento a un furto, inseguendo un uomo con il suo SUV fino a schiacciarlo contro una vetrina, sottolinea una crescente disumanizzazione che si sta radicando nel tessuto sociale.

Il Valore delle Cose Rispetto alla Vita Umana

La reazione di Dal Pino, scaturita dal furto di una borsa, evidenzia come nella nostra società consumistica e iper-materialista, il valore degli oggetti sembri spesso superare quello della vita umana. Questa mentalità, influenzata da una cultura che enfatizza il possesso di beni e la sicurezza personale come valori primari, può portare a risposte sproporzionate, come quella vista in questo caso. Ciò riflette una perdita di empatia, dove la persona dietro il crimine viene de-umanizzata al punto da non meritare nemmeno più il diritto alla vita  .

Cinismo e Insicurezza

Il gesto della donna potrebbe essere interpretato anche come il riflesso di un clima di crescente insicurezza. La paura di essere vittime di furti o violenze quotidiane, unita a una crescente sfiducia nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine, può portare a una forma di giustizia fai-da-te. Tuttavia, questo tipo di reazione alimenta un circolo vizioso di violenza che rischia di sfociare in un cinismo sempre più radicato: non ci si ferma più a valutare la dignità o la storia personale dell’altro, ma si agisce d’impulso, spesso con esiti drammatici.

Il Razzismo e la Disumanizzazione del Diverso

Un altro aspetto non trascurabile è il ruolo del razzismo latente nella società. La vittima, Said Malkoun, era un senzatetto di origine algerina, e il suo status di “altro” nella comunità potrebbe aver contribuito alla percezione della sua vita come meno preziosa. Non possiamo ignorare come la narrativa intorno all’immigrazione e alla marginalità sociale tenda spesso a dipingere gli individui come minacce piuttosto che come esseri umani, facilitando una risposta disumana a situazioni di conflitto . Questo episodio può riflettere un diffuso pregiudizio contro chi è percepito come “straniero”, accentuando il disprezzo e l’indifferenza nei confronti della sofferenza di chi vive ai margini della società.

Come si fa a passare con la macchina più volte sopra il corpo di una persona? Come pensare che una tranquilla e stimata signora, una capace imprenditrice, potesse compiere un’azione del genere?

Mons. Giulietti

La politica xenofoba

Le pressioni sociali, economiche e psicologiche che molti cittadini affrontano possono trasformare eventi di per sé gravi, come un furto, in detonatori di reazioni estremamente violente. Nel caso di Dal Pino, il trauma di precedenti furti subiti e un contesto di crescente tensione hanno probabilmente contribuito a scatenare una reazione sproporzionata. Tuttavia, la risposta della società a questi episodi deve essere chiara: la violenza non può mai essere giustificata come forma di giustizia personale.

Le politiche di Salvini, quando era Ministro dell’Interno, come la chiusura dei porti e i decreti sicurezza, avevano l’obiettivo dichiarato di contrastare l’immigrazione irregolare, ma hanno anche portato a un progressivo aumento di sentimenti xenofobi nella popolazione. Anche il governo Meloni, con il suo approccio all’immigrazione basato su un forte controllo delle frontiere e una stretta regolamentazione dei flussi migratori, ha rafforzato la narrazione secondo cui i migranti rappresentano una minaccia alla sicurezza e alla cultura del Paese  .

Questa retorica ha avuto effetti concreti. Non solo ha giustificato atteggiamenti sempre più diffusi di rifiuto nei confronti degli stranieri, ma ha anche fomentato una fobia verso i migranti che si è riflessa in casi come quello di Viareggio, dove un senzatetto algerino viene visto come una minaccia da eliminare piuttosto che come un individuo in difficoltà. Il fatto che la vittima fosse un migrante probabilmente ha amplificato la disumanizzazione e la brutalità della reazione della donna.

Tale contesto favorisce una percezione distorta della realtà: il migrante diventa un capro espiatorio per problemi complessi come la criminalità o l’insicurezza economica, quando in realtà molte delle sfide che il Paese affronta hanno radici molto più profonde e strutturali. L’ossessione di dipingere i migranti come la causa principale dei mali della società italiana ha polarizzato il dibattito pubblico, impedendo soluzioni umane e ragionevoli alle crisi migratorie e contribuendo a creare una società sempre più diffidente e chiusa.

La voce del Vescovo

Monsignor Giulietti in una nota diffusa dall’arcidiocesi di Lucca. «Negli ultimi tempi – osserva il presule – ci sono state una serie di episodi che coinvolgono persone e famiglie “normali”. Che a un certo punto mettono in atto dei comportamenti di una violenza incredibile. Sia dentro le pareti domestiche sia sulla pubblica via come accaduto appunto a Viareggio. Ma si tratta di persone “normali” non di persone riconosciute come violente o di casi particolarmente problematici da un punto di vista sociale. Protagonisti di queste violenze sono cioè persone dalle quali nessuno può immaginare che emergano comportamenti devianti. Già questo ci fa capire che non si può generalizzare: tutte le facili letture sulla delinquenza restano tali. E questo però ci dice che il male è in agguato. L’uomo è capace di fare del male e bisogna stare in guardia». E quindi, tornando a quanto avvenuto a Viareggio, monsignor Giulietti continua: «Le indagini faranno il loro corso, ma il video che abbiamo tutti visto evidenzia un comportamento sbalorditivo. Come si fa a passare con la macchina più volte sopra il corpo di una persona? Come pensare che una tranquilla e stimata signora, una capace imprenditrice, potesse compiere un’azione del genere? E aggiungo che il male vince quando ci rende cattivi: chi esulta perché questo episodio sarebbe un episodio di legittima difesa dimostra come il male vince. Io dico, non esultiamo, questa non è legittima difesa e non è giustizia! Sappiamo bene, anche grazie agli annuali rapporti Caritas, come la situazione di povertà nella città di Viareggio sia una vera emergenza e vi siano dunque molte persone che vivono d’espedienti e a volte nell’illegalità. Questo può esasperare alcuni e lo capisco. Ma niente, proprio niente può giustificare un omicidio. Non solo perché viviamo in uno Stato di diritto. Ma perché ogni persona, in ogni situazione nella quale si trovi, ha diritto a vivere. Nelle nostre parrocchie, e quindi anche a Viareggio, andiamo in direzione contraria alla violenza e al male: sia dal punto di vista dell’aiuto a chi è in difficoltà ma anche nella promozione di una cultura di pace, di convivenza civile, che cerca di capire e cerca di risolvere i problemi in maniera pacifica, magari insieme ad altri, collaborando».

Il caso di Viareggio evidenzia come il valore degli oggetti, la paura dell’insicurezza e i pregiudizi razziali possano deformare il giudizio morale e portare a tragedie evitabili. Non si tratta solo di un singolo gesto, ma di un campanello d’allarme che ci invita a riflettere su come la nostra società tratta il diverso, su come concepiamo il valore della vita umana e su quanto siamo disposti a sacrificare in nome della difesa delle “cose”.