TEHERAN: Ebrahim Raisi, il presidente iraniano è morto nel crash dell’elicottero di Stato all’età di 63 anni. I resti sono stati ritrovati nei rottami del velivolo andato in fiamme. Nessun superstite fra gli occupanti del velivolo. Tra i passeggeri dell’elicottero, oltre al Presidente Raisi, erano presenti: Mohammad Ali Al Hashem, imam di Tabriz; Hossein Amirabdollahian, Ministro degli Esteri; Malik Rahmati, governatore dell’Azerbaigian orientale; il pilota, un copilota, il capo della squadra di protezione e una delle guardie.
Raisi ha lasciato una traccia indelebile nella storia politica e giudiziaria del suo paese. Durante il suo mandato e i suoi anni come capo della magistratura, Raisi è stato una figura chiave nella repressione di dissidenti, donne e minoranze etniche, tra cui le giovani dissidenti curde.
Il suo ruolo nel sistema giudiziario iraniano è stato particolarmente marcato da decisioni severe. Negli anni ’80, in particolare durante gli eventi noti come il “massacro del 1988”, Raisi fu tra i membri delle commissioni della morte che condannarono a morte migliaia di prigionieri politici, molti dei quali simpatizzanti dell’organizzazione Mujahedin-e Khalq (MEK). Queste azioni sono state ampiamente condannate come crimini contro l’umanità da organizzazioni internazionali per i diritti umani.
Raisi ha mantenuto una linea dura anche contro le donne che violavano le severe leggi iraniane sul codice di abbigliamento, contribuendo a politiche che hanno visto l’arresto e la detenzione di numerose donne per il non rispetto delle norme sul velo. La tragica morte di Mahsa Amini, detenuta dalla polizia morale per il suo abbigliamento, ha scatenato una ondata di proteste nazionali e critiche internazionali nel 2022.
Con la morte di Raisi, si apre un periodo di incertezza politica. La sua eredità è un Iran diviso, con profonde cicatrici dovute alla sua gestione autoritaria e alla repressione dei diritti umani. La comunità internazionale rimane vigile, sperando in un futuro di maggiore apertura e rispetto per i diritti civili e umani nel paese.
Le azioni di Raisi, dalla sua partecipazione nelle commissioni della morte agli anni di presidenza, saranno oggetto di analisi e dibattito per anni a venire, non solo in Iran ma in tutto il mondo, poiché rappresentano un capitolo significativo e oscuro nella storia recente dell’Iran. Gli occhi del mondo continueranno a monitorare come l’Iran naviga questo trasferimento di potere e quali cambiamenti seguiranno la sua scomparsa.
In una delle sue ultime apparizioni pubbliche, aveva dichiarato: “Se un giorno dovesse accadere qualcosa, chiunque sia responsabile delle persone, dovrebbe essere lodato”. Queste parole, quasi profetiche, risuonano ora con una risonanza amara.
La sua morte segna la fine di un’era caratterizzata da una ferma leadership e da controversie che hanno continuamente circondato la sua figura. Raisi lascia dietro di sé un paese in bilico, un’eredità di forza e di paura, e la questione irrisolta di chi sarà in grado di guidare l’Iran attraverso le sfide che lo attendono.
La sua scomparsa è un momento di riflessione per l’Iran e per il mondo intero sul futuro della Repubblica Islamica, un paese al centro di tante tensioni geopolitiche ma anche di un popolo che cerca vie verso il rinnovamento e la speranza. Resta da vedere come l’Iran navigherà questo passaggio critico, e chi emergerà come nuova guida in un periodo di incertezza tanto profonda.
In caso di eventi tragici come la morte del presidente, il sistema giuridico iraniano prevede che il suo ruolo venga ricoperto temporaneamente dal primo vicepresidente, attualmente Mohammad Mokhber, con il previo assenso del leader supremo, Ali Khamenei. Entro 50 giorni, il paese deve poi andare alle urne per eleggere un nuovo presidente. Le autorità continuano a monitorare la situazione e a fornire aggiornamenti man mano che diventano disponibili.