Il caso di Eluana Englaro ha scosso profondamente l’opinione pubblica in Italia e all’estero, sollevando un dibattito acceso su temi etici, giuridici e politici. La recente sentenza della Corte dei Conti che condanna il direttore generale della Sanità della Lombardia, Carlo Lucchina, ad un risarcimento per aver impedito l’interruzione dei trattamenti a Eluana, sottolinea la complessità e le implicazioni durature di questa vicenda.

La Dichiarazione Anticipata di Trattamento

Una delle questioni centrali nel caso di Eluana Englaro, deceduta il 9 febbraio 2009, fu la validità delle dichiarazioni anticipate di trattamento. In Italia, l’assenza di una legislazione specifica aveva portato a interpretazioni divergenti su come rispettare la volontà espressa da un paziente in stato vegetativo permanente. La Corte di Cassazione e la Corte d’Appello di Milano avevano autorizzato l’interruzione del trattamento basandosi sul principio dell’autodeterminazione del paziente. Questo principio implica che ogni individuo ha il diritto di rifiutare trattamenti medici che non considera appropriati per sé, anche se ciò comporta la sospensione di cure vitali come l’alimentazione e l’idratazione assistita. 

Beppino Englaro

Fu il papà di Eluana, Beppino Englaro, a condurre una vera e propria battaglia legale per portare la figlia al fine vita. 

Ha sempre dichiarato che la figlia avrebbe rifiutato le cure qualora fosse stata cosciente.

Sta di fatto che il giorno del trasferimento in ambulanza verso Udine, poiché la regione Lombardia aveva rifiutato la sospensione dell’alimentazione e idratazione assistita, la giovane era molto agitata, quali presagisse il destino che le era stato riservato opponendosene con tutte le forze possibili.

La ragazza aveva tutte le funzioni vitali autonomamente efficienti, ma il suo stato cosiddetto vegetativo, le impediva di assumere cibo e acqua senza un aiuto esterno, così come accade per i neonati o gli anziani ammalati di Alzheimer o i tetraplegici.

Profili Etici e Giuridici

Il dibattito etico si concentra sulla distinzione tra il rifiuto di trattamenti medici e il diritto alla vita. Da un lato, vi è la posizione che sostiene l’autonomia del paziente come valore supremo, garantito dagli articoli 13 e 32 della Costituzione italiana, che tutelano la libertà personale e il diritto alla salute. Dall’altro, vi è chi considera la vita un valore indisponibile e sacro, che non può essere messo in discussione da decisioni individuali.

Il recente verdetto della Corte dei Conti, che ha condannato Carlo Lucchina a risarcire la famiglia Englaro per aver impedito l’interruzione del trattamento, evidenzia le implicazioni giuridiche e amministrative di tali decisioni. La Corte ha stabilito che l’amministrazione sanitaria non può negare il diritto di rifiutare le cure, ribaltando la sentenza di primo grado che aveva assolto Lucchina.

La Sacralità della Vita

La visione che attribuisce un valore assoluto alla vita umana sostiene che nessuno, nemmeno il paziente stesso, ha il diritto di disporne. Questa prospettiva si basa su una concezione etica e metafisica della vita come dono immutabile, che deve essere rispettato in ogni condizione. Tale visione si confronta con le esperienze personali di sofferenza e con la chiave di lettura della vita ridotta a strumento di produzione e di edonismo egoista.

Il diaframma sottile tra Diritto e Giustizia

È triste che si parli ancora di Eluana Englaro, una ragazza uscita dall’anonimato proprio quando l’efficienza fisica della gioventù e la sua vota di esprimersi è stata spezzata da un terribile incidente stradale.

La sua vicenda che ha prestato fianco ad associazioni che promuovono eutanasia e suicidio assistito, rappresenta un importante punto di riflessione sul diritto all’autodeterminazione e sulla sacralità della vita.

Carlo Lucchina che dovrebbe sborsare 175 mila euro di danno all’Erario, dopo essere stato assolto in Primo Grado e condannato in appello, arriverà in Cassazione per dimostrare che non ha agito per una questione di obiezione di coscienza, ma per assecondare come medico il principio di non maleficenza sul malato.

Una legislazione chiara e condivisa è essenziale per garantire che le decisioni mediche rispettino i valori fondamentali della nostra società, proteggendo la dignità e i diritti di ogni individuo. La complessità di questi temi richiede un dialogo aperto e rispettoso, capace di riconoscere e valorizzare le diverse sensibilità etiche e morali presenti nella nostra comunità.

Triste è quando solo il mondo dei credenti deve pronunciarsi sulla difesa della vita. La libertà è la forma più alta della vita che c’è su questo pianeta, la vita umana. Se la libertà si volge contro la vita umana, la libertà entra in contraddizione con se stessa, e una libertà auto-contraddittoria non può essere un principio strutturante della vita sociale e politica.