Con la recente morte di un giovane ventunenne nel carcere di Frosinone, il numero dei detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno sale a 48. È un vero e proprio massacro che richiede interventi urgenti e concreti. Le strutture penitenziarie italiane sono al collasso, sovraffollate e incapaci di garantire condizioni dignitose ai detenuti, molti dei quali soffrono di gravi problemi di salute mentale. È impensabile continuare a ignorare la necessità di un decongestionamento delle carceri, ma le risposte politiche tardano ad arrivare.
Il giovane che si è tolto la vita a Frosinone utilizzando il gas di una bomboletta da campeggio era in attesa di giudizio e soffriva di disturbi mentali. Questa tragica morte mette in luce una delle tante falle del sistema carcerario italiano: la gestione dei detenuti con problemi psichiatrici. Le strutture non sono adeguate e il personale non è sufficientemente formato per affrontare queste situazioni. È un problema noto, eppure non si vedono provvedimenti concreti per migliorare la situazione.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato un mini-decreto entro luglio, ma ha già precisato che non si tratterà di un provvedimento che avrà effetti immediati di svuotamento delle carceri. Questo non basta. Servono azioni decise e immediate per ridurre il numero di detenuti, in particolare quelli in attesa di giudizio o che hanno commesso reati minori. È necessario distinguere tra chi rappresenta un pericolo per la società e chi, invece, potrebbe essere gestito attraverso misure alternative alla detenzione.
L’emergenza nelle carceri non riguarda solo il sovraffollamento, ma anche le condizioni di sicurezza. Gli episodi di violenza ai danni degli agenti penitenziari sono all’ordine del giorno, come dimostrato dall’aggressione avvenuta a Rieti, dove un detenuto con problemi psichiatrici ha ferito gravemente un sovrintendente. Questa situazione è insostenibile sia per i detenuti che per il personale penitenziario, che si trova a lavorare in condizioni di estremo pericolo.
Stefano Anastasia, garante regionale delle persone private della libertà personale, ha denunciato l’inadeguatezza degli annunci governativi e l’urgenza di un provvedimento deflattivo. Le carceri italiane possono gestire al massimo 45.000 detenuti, ma attualmente ne ospitano 61.000. Questo sovraffollamento non solo degrada le condizioni di vita, ma rende impossibile un trattamento dignitoso e umanizzante dei reclusi.
Intanto, la Regione Lazio sta cercando di attuare misure per il reinserimento sociale dei detenuti e per garantire il diritto all’istruzione, come annunciato dall’assessore Luisa Regimenti. Ma queste iniziative, seppur lodevoli, non possono risolvere da sole un problema strutturale così grave. È necessario un approccio integrato che coinvolga tutte le istituzioni competenti e che miri a prevenire i suicidi nelle carceri. Il tavolo interistituzionale proposto dall’assessore Regimenti potrebbe essere un primo passo, ma deve essere supportato da risorse adeguate e da una volontà politica forte.
La morte di 48 detenuti in sei mesi è una tragedia che non può essere ignorata. Ogni suicidio rappresenta un fallimento del sistema carcerario e della società nel suo complesso. È tempo che il governo prenda decisioni coraggiose e agisca con urgenza per fermare questo massacro silenzioso. Le carceri devono diventare luoghi di rieducazione e non di morte. Solo con una politica penitenziaria che metta al centro la dignità e i diritti umani si potrà sperare di fermare questa strage.