INCHIESTA: L’Europa continua a pagare Erdogan per tenere chiuso il “tappo” dell’immigrazione, ma il presidente turco, come già la Libia, usa i migranti come leva di ricatto per ottenere concessioni politiche ed economiche. Il modello della delega della gestione migratoria a paesi terzi sta diventando una costante anche in Italia, con l’accordo sui centri di smistamento in Albania, e negli Stati Uniti, dove Trump punta su deportazioni di massa e sulla detenzione degli irregolari a Guantanamo. Ma fino a quando questa strategia potrà reggere? E cosa succederà quando i governi che oggi trattengono i migranti decideranno di alzare il prezzo del loro “servizio” o di lasciar saltare la diga?
L’Unione Europea continua a pagare per tenere chiuso il tappo dell’immigrazione, ma i soldi non bastano mai. La politica di esternalizzazione della gestione dei migranti ha ormai creato un sistema perverso in cui regimi autoritari e governi opportunisti, come quello di Recep Tayyip Erdogan, usano i migranti come merce di scambio per ricattare Bruxelles.
Dal 2016, la Turchia ha ricevuto 6 miliardi di euro dall’UE per trattenere i migranti sul proprio territorio e impedire il flusso attraverso il Mar Egeo verso la Grecia. Ma più che un accordo, si è rivelato un riscatto permanente: ogni volta che i fondi finiscono o Erdogan vuole ottenere qualcosa dall’Europa – che siano concessioni economiche, politiche o militari – minaccia di aprire le porte e far partire centinaia di migliaia di rifugiati verso il Vecchio Continente.
Questa strategia non è nuova: è esattamente lo stesso gioco che la Libia ha giocato per anni con l’Italia, vendendo la propria complicità nel fermare i migranti per ottenere fondi, riconoscimenti e perfino armi. E il governo Meloni, pur adottando una linea più strutturata rispetto agli anni precedenti, si trova a fare i conti con la minaccia costante che Tripoli possa lasciare partire migliaia di barconi in qualsiasi momento.
Nel frattempo, anche gli Stati Uniti stanno prendendo ispirazione da questa strategia, con Trump che promette di deportare in massa i migranti verso Messico e Colombia, minacciando ritorsioni economiche contro i governi che non collaborano.
Ma qual è il limite di questa politica? Può l’Europa continuare a pagare per tenere lontano il problema senza affrontarlo davvero?
Erdogan e la politica del ricatto: il “tappo” che può saltare da un momento all’altro
L’accordo tra l’UE e la Turchia era nato per ridurre la pressione migratoria dopo la crisi del 2015, quando oltre un milione di rifugiati siriani avevano attraversato i Balcani per arrivare in Europa. In cambio dei miliardi di Bruxelles, Ankara si è impegnata a trattenere i migranti sul suo territorio e a riprendersi quelli arrivati in Grecia irregolarmente.
Ma il prezzo da pagare non è solo economico: Erdogan ha capito che la paura dell’Europa nei confronti dell’immigrazione è più potente di qualsiasi trattato internazionale. Così, periodicamente, usa questa leva per ottenere quello che vuole.
• Nel 2019, irritato dal mancato sostegno europeo alle sue operazioni militari in Siria, Erdogan minacciò di aprire i confini e lasciar partire 3,6 milioni di rifugiati.
• Nel 2020, alcuni confini furono effettivamente aperti, portando a scontri tra migranti e polizia greca alla frontiera.
• Nel 2023 e 2024, Erdogan ha nuovamente ventilato la possibilità di rivedere l’accordo, lamentando che i fondi europei sono insufficienti e che l’UE non ha rispettato le promesse fatte sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi.
In poche parole, l’Europa non ha comprato una soluzione, ma solo tempo. Tempo che Erdogan può decidere di far scadere in qualsiasi momento.
La Libia e la minaccia costante dei barconi
Lo stesso copione si ripete nel Mediterraneo centrale, dove la Libia è diventata un altro “tappo” finanziato dall’Europa. L’Italia e l’UE hanno riversato milioni di euro nella Guardia Costiera libica, nel tentativo di fermare le partenze. Ma a differenza della Turchia, la Libia è un paese allo sbando, diviso tra milizie e governi rivali. Il risultato? Quando uno degli attori locali vuole più soldi o maggiore riconoscimento, ecco che i barconi ripartono in massa.
È successo più volte negli ultimi anni:
• Nel 2017, quando l’allora ministro Minniti firmò il primo accordo con Tripoli, le partenze calarono bruscamente.
• Nel 2019-2020, con il conflitto tra Haftar e il governo di Tripoli, il flusso migratorio riprese a pieno regime.
• Nel 2023-2024, dopo le proteste delle ONG e le tensioni con l’Italia, gli sbarchi aumentarono esponenzialmente, segno che qualcuno aveva deciso di rialzare il prezzo della collaborazione.
L’Europa continua a finanziare questi governi con la speranza che il problema resti lontano, ma la realtà è che stiamo solo alimentando un mercato della deterrenza che prima o poi ci esploderà in faccia.
Il caso Albania: una strategia più strutturata, ma il rischio resta
Diverso è il caso dell’accordo tra l’Italia e l’Albania, che prevede non la detenzione indiscriminata, ma la creazione di un centro di smistamento per i migranti soccorsi in mare. La gestione sarà affidata direttamente all’Italia, quindi non si rischiano le violazioni sistematiche dei diritti umani viste in Turchia e Libia.
Tuttavia, l’idea di spostare il problema fuori dai confini nazionali è figlia della stessa mentalità: il “Not In My Backyard”, ovvero tenere i migranti lontani dagli occhi dell’opinione pubblica, anche se questo significa delegare la loro gestione ad altri paesi.
E la domanda resta: quanto durerà questo accordo prima che anche l’Albania inizi a chiedere più soldi, più concessioni, più favori?
Trump, Guantanamo e la militarizzazione della frontiera USA
Mentre l’Europa si affida ai suoi Erdogan e alle sue Libie, gli Stati Uniti di Trump stanno progettando qualcosa di ancora più radicale. Se rieletto, l’ex presidente ha promesso di deportare in massa milioni di migranti e di usare Guantanamo come centro di detenzione per gli irregolari.
Già oggi, negli Stati Uniti, oltre 20.000 migranti vengono detenuti in centri federali in attesa di espulsione. Ma Trump vuole andare oltre, minacciando di bloccare tutti gli aiuti economici ai paesi che non si riprenderanno i migranti espulsi.
La logica è la stessa dell’UE: scaricare il problema su qualcun altro, senza affrontare le cause profonde della migrazione.
L’illusione della diga che prima o poi cede
La strategia europea e globale della migrazione si basa su un principio fallace: credere che pagare gli altri per tenere i migranti lontani possa funzionare all’infinito. La realtà è che Erdogan, la Libia, l’Albania, il Messico e la Colombia non sono soluzioni permanenti, ma solo dighe di contenimento.
E come tutte le dighe, prima o poi si rompono.
A quel punto, l’Europa e gli Stati Uniti scopriranno di aver costruito un sistema che non solo non ha fermato la migrazione, ma ha creato un mercato del ricatto in cui sono i governi di Ankara, Tripoli e Tirana a dettare le condizioni.
E quando la prossima crisi migratoria esploderà, non potremo più dire di non averlo visto arrivare.