Un nuovo focolaio epidemico è stato segnalato nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), al confine con l’Angola, gettando luce sulle vulnerabilità sanitarie globali e suscitando interrogativi sulla sua reale natura e pericolosità. Il distretto colpito è Panzi, un’area remota nella provincia di Kwango, dove infrastrutture e accesso ai servizi medici sono gravemente limitati.
Numeri incerti e difficoltà logistiche
Il bilancio dell’epidemia varia significativamente a seconda delle fonti. Il Centro africano per il controllo delle malattie (Africa CDC) ha riportato 79 decessi su circa 400 casi, ma l’agenzia Reuters ha aggiornato il dato a 143 vittime. Tale discrepanza riflette la difficoltà di monitorare accuratamente la situazione in un’area remota, dove diagnosi e comunicazioni sanitarie sono spesso lente e frammentarie.
I sintomi riportati—febbre, tosse, mal di testa e anemia—ricordano malattie già conosciute, come la malaria grave o il meningococco A, ma potrebbero anche indicare un nuovo spillover zoonotico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e Africa CDC hanno inviato virologi e team medici per accelerare le indagini.
Malnutrizione e sanità locale: un binomio letale
L’area colpita è segnata da tassi di malnutrizione del 40%, un fattore che potrebbe spiegare l’alto tasso di letalità tra i bambini sotto i cinque anni, che rappresentano il 40% dei decessi. La vulnerabilità immunitaria, combinata con la mancanza di accesso a farmaci di base e cure ospedaliere, ha aggravato l’impatto del focolaio. Molte vittime sono morte in casa senza ricevere assistenza medica.
Secondo Dieudonné Mwamba, capo dell’Istituto nazionale congolese per la sanità pubblica, la malnutrizione rende il sistema immunitario più suscettibile a virus e batteri che potrebbero normalmente essere gestibili con risorse adeguate. Tuttavia, le difficoltà logistiche ostacolano la risposta sanitaria: i campioni per i test devono essere inviati a laboratori situati a oltre 500 chilometri.
Ipotesi sulla malattia e il rischio di allarmismo
Esperti come Peter Hotez dell’Università del Texas ipotizzano che possa trattarsi di una forma grave di malaria, meningococco A o un virus influenzale zoonotico. Jake Dunning, ricercatore dell’Università di Oxford, avverte però contro l’uso prematuro del termine “malattia X”, spesso associato a patogeni sconosciuti e potenzialmente pandemici. Tale etichetta rischia di alimentare inutili allarmismi, mentre la priorità è identificare il patogeno e contenerne la diffusione.
L’importanza di investire in sanità pubblica
Giuseppe Ippolito, già direttore dello Spallanzani di Roma, sottolinea l’urgenza di investire in infrastrutture sanitarie nelle aree più povere del pianeta. Epidemie come questa dimostrano che l’accesso alle terapie e la preparazione delle infrastrutture sanitarie sono essenziali non solo per i Paesi direttamente colpiti, ma per la sicurezza sanitaria globale.
Lezioni da trarre
La RDC è uno dei Paesi più esperti nella gestione di epidemie: affronta regolarmente focolai di Ebola, morbillo e Mpox. Questa competenza potrebbe giocare un ruolo cruciale nel contenere il nuovo focolaio. Tuttavia, il ritardo nella comunicazione (cinque o sei settimane) evidenzia l’importanza di rafforzare i sistemi di sorveglianza sanitaria e la cooperazione internazionale.
Sebbene l’epidemia abbia attirato l’attenzione globale, è essenziale evitare speculazioni premature e concentrarsi su risposte scientifiche coordinate. La comunità internazionale deve considerare questa crisi un promemoria: la salute globale è interconnessa, e le fragilità sanitarie di una regione possono rapidamente trasformarsi in minacce per il mondo intero. Investire in salute pubblica, ricerca e accesso alle cure è la chiave per prevenire crisi future.