L’allocuzione di Emmanuel Macron del 5 marzo 2025 ha avuto l’effetto di una scossa tellurica sulla politica francese. Il presidente ha delineato una “nuova era internazionale”, ponendo la Russia come minaccia non solo per l’Ucraina, ma per l’Europa intera, e ha proposto un rafforzamento delle spese militari francesi ed europee. Ma, come spesso accade, le sue parole hanno più che unito, diviso. Le reazioni delle forze politiche non hanno solo rivelato divergenze sulla politica estera, ma anche fratture ideologiche più profonde, che vanno dal rapporto con l’Unione Europea alla visione dello Stato e dell’economia.
Macron, il centro e la sinistra moderata: un asse atlantista ed europeista
L’idea che la Russia rappresenti una minaccia per l’Europa non è nuova, ma il modo in cui Macron l’ha ribadita ha segnato una svolta: la necessità di “un’autonomia strategica dell’Unione Europea”, con un rafforzamento delle capacità militari del continente. A sostenerlo senza riserve sono stati il Partito Socialista e Place Publique, con Olivier Faure e Raphaël Glucksmann che condividono la linea dell’Eliseo. Persino François Ruffin, ex membro di La France Insoumise, ha rotto con la tradizionale ambiguità della sinistra radicale, dichiarandosi favorevole all’aumento del budget della difesa.
Non è un dettaglio da poco. Significa che una parte significativa della sinistra francese ha ormai accettato che il pacifismo idealista non può essere la risposta a un’aggressione militare come quella russa. E significa anche che la frattura tra il socialismo riformista e la sinistra più radicale è sempre più profonda.
Chi paga il riarmo? La faglia economica tra liberali e progressisti
Se sul principio di un rafforzamento della difesa l’alleanza tra Macron e la sinistra moderata regge, è sulla questione del finanziamento che emergono differenze marcate. Macron, fedele alla sua visione liberale, esclude aumenti di tasse e insiste sulla necessità di “scelte coraggiose”, un eufemismo per indicare tagli alla spesa pubblica. Il Partito Socialista, invece, evoca Roosevelt e il patriottismo fiscale, proponendo una tassa sui più ricchi e l’emissione di un debito comune europeo.
Qui la vera battaglia non è tra chi vuole o non vuole difendere l’Europa, ma tra chi ritiene che lo Stato debba assumersi un ruolo centrale nel finanziamento della sicurezza e chi vuole affidarsi al mercato. E questa è una spaccatura che va ben oltre la questione ucraina, toccando il cuore del dibattito su quale modello economico debba seguire la Francia.
La sinistra radicale e il miraggio della pace negoziata
Dall’altro lato dello spettro politico, La France Insoumise e il Partito Comunista rifiutano categoricamente la narrativa di una minaccia russa diretta per l’Europa. Secondo loro, si tratta di un pretesto per giustificare nuove spese militari e sacrifici sociali per i francesi. Jean-Luc Mélenchon chiede addirittura una “conferenza delle frontiere in Europa”, il che implica che il destino dei territori occupati in Ucraina sia negoziabile.
Il problema di questa posizione è che non tiene conto della realtà sul campo. Ogni tentativo di negoziato con Mosca, dalla mediazione di Macron al fallimento degli accordi di Minsk, ha dimostrato che Putin non è interessato a una soluzione diplomatica che non implichi la resa dell’Ucraina. Parlare di diplomazia senza una strategia concreta per farla funzionare diventa solo un esercizio retorico che, nei fatti, significa accettare la sconfitta di Kiev.
L’estrema destra e la destra classica: tra silenzio e ambiguità
Sorprendentemente, l’estrema destra, solitamente pronta a cavalcare ogni tema divisivo, è rimasta piuttosto silenziosa. Marine Le Pen sa bene che nel suo partito convivono due anime: la vecchia guardia, da sempre vicina a Mosca, e una nuova generazione più pragmatica, che comprende quanto sia difficile difendere la Russia mentre bombarda città europee. La linea ufficiale del Rassemblement National, quindi, resta volutamente vaga.
Ancora più sorprendente è il silenzio dei Républicains, la cui identità è sempre più incerta. Una parte del partito vuole restare fedele all’atlantismo e al sostegno all’Ucraina, mentre un’altra, influenzata dalle correnti sovraniste, guarda con sospetto alla linea dura contro Mosca. Il risultato? Un immobilismo che riflette l’incapacità della destra tradizionale di trovare una posizione chiara tra il macronismo europeista e la destra nazionalista.
Un’Europa più forte o una Francia isolata?
Il dibattito francese sulla guerra in Ucraina non riguarda solo la geopolitica, ma la visione stessa del ruolo della Francia nel mondo. Se l’Eliseo vuole davvero un’Europa più forte e autonoma, Macron dovrà lavorare per trasformare le parole in azioni concrete, convincendo non solo gli alleati europei, ma anche una parte del suo stesso Paese.
La sinistra radicale, con il suo pacifismo ideologico, e l’estrema destra, con la sua ambiguità filo-russa, offrono risposte che sembrano più dettate da calcoli elettorali che da una reale analisi della situazione. Ma il tempo delle ambiguità sta per finire. La guerra in Ucraina continua, e la Francia dovrà scegliere se essere in prima linea per difendere un ordine europeo basato sulla sicurezza comune o se restare intrappolata nelle sue divisioni interne.