Cinque neonati sono morti nelle ultime ore a Gaza, uccisi dal freddo e dalla mancanza di aiuti umanitari. Tre di loro pesavano meno di due chili e non avevano ancora due settimane di vita. Sono nati durante la tregua, non sono stati colpiti dalle bombe, ma sono stati condannati dal gelo e dall’assenza di ripari. A Gaza, con temperature vicine allo zero, le tende non proteggono dal vento tagliente e le promesse di aiuti si sono rivelate, ancora una volta, insufficienti.

Un dramma evitabile: mancano tende, ripari e aiuti essenziali

Le immagini di neonati morti assiderati nel 2024 sembrano uscite da un passato remoto, da un’epoca in cui il mondo non aveva risorse per proteggere i più vulnerabili. Eppure, accade oggi, nel 21° secolo, in un territorio sotto assedio da mesi.

Dovevano entrare 200mila tende secondo gli accordi di tregua, ma ne sono arrivate solo 19mila. Dovevano essere costruite 60mila casette mobili per proteggere gli sfollati, ma ne sono entrate appena 12, e non per i civili: sono state destinate alle organizzazioni umanitarie per le loro operazioni.

Nel frattempo, le tende che ancora resistono sono ormai stracci. Non trattengono il freddo, non proteggono dalle piogge. Il piccolo Sham Yousef al-Shambari, 60 giorni di vita, è morto in una tenda ad al-Mawasi, nel sud della Striscia. Il suo corpo era diventato blu, raccontano i medici.

Questa non è una fatalità, è il risultato di ritardi negli aiuti e scelte politiche che negano ai palestinesi persino le condizioni minime di sopravvivenza.

Una tregua fragile, tra negoziati bloccati e guerra economica

La tregua in corso doveva alleviare la sofferenza della popolazione, ma è sempre più evidente che non basta. Il primo marzo si conclude la prima fase del cessate il fuoco, ma nessun negoziato è stato avviato per una seconda fase. Israele valuta l’estensione temporanea della tregua solo per ottenere il rilascio di più ostaggi, mentre rifiuta di discutere un accordo a lungo termine che porti alla fine dell’offensiva e al ritiro totale da Gaza.

Nel frattempo, la guerra si combatte anche nelle carceri e nelle stanze della politica economica.

• Sabato è previsto il rilascio di 620 prigionieri palestinesi, il cui ritorno è stato bloccato una settimana fa da Netanyahu per pressioni politiche interne.

• Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha confiscato 130 milioni di dollari di fondi dell’Autorità Nazionale Palestinese destinati ai prigionieri rilasciati, per trasferirli alle famiglie israeliane colpite dall’attacco di Hamas del 7 ottobre.

• 162 operatori sanitari palestinesi sono ancora detenuti in Israele senza accuse, secondo un’inchiesta del Guardianche cita l’OMS e l’ong Healthcare Workers Watch.

Torture, sparizioni, privazioni: le testimonianze di medici rilasciati dalle prigioni israeliane descrivono un sistema di detenzione brutale. Il dottor Mohammed Abu Selmia, direttore dell’ospedale Shifa, racconta di bastonate, cani contro i prigionieri, celle senza cibo né acqua. Due medici sono morti in carcere: il ginecologo Iyad al-Rantisi e il capo ortopedico Adnan al-Bursh.

Il silenzio internazionale e la crisi che non fa notizia

Mentre le temperature scendono sotto lo zero a Gaza, a Gerusalemme e Betlemme nevica, e il mondo sembra ignorare la crisi umanitaria senza precedenti che sta colpendo la popolazione palestinese.

La mancanza di ripari, la politicizzazione degli aiuti e l’assenza di soluzioni diplomatiche reali stanno trasformando la tregua in una condanna lenta e inesorabile per migliaia di persone.

Quante altre immagini di bambini congelati serviranno perché la comunità internazionale smetta di limitarsi a dichiarazioni di preoccupazione e intervenga concretamente per garantire il diritto alla sopravvivenza di un popolo intero?