Giorgia Meloni è salita sul palco del Conservative Political Action Conference (CPAC), il più grande raduno della destra americana, con la consapevolezza che la sua presenza era un test cruciale: riuscire a parlare la lingua del trumpismo senza incrinare troppo i legami con l’Europa, e soprattutto senza finire sotto l’ombra lunga e imprevedibile di Donald Trump.
L’accoglienza è stata cortese, ma non travolgente. Il pubblico americano ha applaudito ai passaggi giusti – soprattutto quelli sull’immigrazione e contro la cultura woke – ma senza quel calore che si riserva ai leader percepiti come propri. Meloni non è Trump. E, per quanto si sforzi, non sarà mai del tutto assimilata al mondo MAGA.
L’equilibrismo su Kiev: un passaggio obbligato
Il punto più delicato del suo discorso era ovviamente l’Ucraina. La premier italiana, pur tra molte ambiguità, è stata tra i leader europei più vicini a Zelensky, e il suo governo continua a sostenere militarmente Kiev. Ma oggi l’America trumpiana vede l’Ucraina come un errore strategico, e Trump stesso ha chiarito che il sostegno statunitense potrebbe non essere scontato.
Meloni ha scelto una via prudente: non ha ignorato il tema, ma lo ha toccato con una formula che la mette al riparo da critiche eccessive in Europa. Ha citato Pericle per legare la causa ucraina alla difesa della libertà, ha parlato di una “pace giusta e duratura” – senza specificare a che prezzo – e si è smarcata dalle critiche non partecipando al G7 “anti-Putin” organizzato da Biden.
Non è abbastanza per essere pienamente accolta dall’ala trumpiana, ma lo è per tenere il punto con Bruxelles e con la NATO. Un’operazione di equilibrio che potrebbe rivelarsi fragile se Trump dovesse tornare alla Casa Bianca.
Il gelo di Trump e l’applauso forzato
L’assenza di riferimenti diretti a Meloni nel discorso finale di Trump non è un dettaglio irrilevante. Il tycoon, noto per le sue alleanze personalistiche, elogia e premia solo chi dimostra fedeltà assoluta. Se non la cita, significa che la considera ancora un’incognita.
Per rimediare, Meloni ha scelto un colpo dialettico prevedibile ma efficace: ha chiuso il discorso dicendo che solo un leader forte come Trump può garantire che non si ripeta il disastro afghano del 2021. Attaccare Biden, per il pubblico del CPAC, è sempre una carta vincente. L’applauso è arrivato, ma più come reazione automatica che come segnale di un’adesione profonda.
La retorica dell’Occidente unito che non regge più
Uno dei punti chiave del discorso di Meloni è stato il richiamo all’unità tra Europa e America. “Non può esistere Occidente senza America e senza Europa”, ha detto la premier, cercando di scongiurare la frattura sempre più evidente tra le due sponde dell’Atlantico.
Ma il problema è che questo messaggio non corrisponde alla realtà. La destra americana di Trump ha ormai una visione isolazionista, scettica verso le alleanze storiche e apertamente ostile all’Unione Europea. Il concetto di “Make West Great Again” (MWGA), con cui Meloni ha cercato di chiudere il discorso, non basta a colmare il fossato che separa il trumpismo dall’Europa conservatrice.
E, soprattutto, non basta a garantire a Meloni un posto sicuro nella cerchia dei fedelissimi di Trump.
L’attacco alla sinistra come collante retorico
Se c’è un elemento che ha unificato il discorso della premier con quello del pubblico CPAC, è stato l’attacco frontale alla sinistra. Per Meloni, la colpa della distanza tra Europa e America è della sinistra globale, accusata di aver tradito le radici occidentali con la sua ossessione per il multiculturalismo, l’immigrazione e la cancellazione delle identità nazionali.
Qui il pubblico ha risposto con più entusiasmo, perché la battaglia contro la sinistra radicale è uno dei pochi punti di contatto reali tra Meloni e Trump. Ma basta questo per cementare un’alleanza solida? Difficile.
Un futuro incerto: dove sta davvero Meloni?
Meloni ha provato a restare in equilibrio su due fronti, ma la sua posizione rimane precaria.
• In Europa, cerca di rimanere un interlocutore credibile per Bruxelles e la NATO.
• In America, tenta di conquistare spazio nel mondo MAGA senza svendere completamente la sua credibilità internazionale.
Il rischio è che non venga accettata fino in fondo né da una parte né dall’altra.
Se Trump tornerà alla Casa Bianca, sarà disposto a tollerare una leader che cerca di tenere il piede in due scarpe? E se invece il Partito Repubblicano dovesse risentire di una sua eventuale sconfitta, quanto costerà a Meloni essere associata a un mondo MAGA sempre più isolato?
Il futuro politico della premier italiana dipende da equilibri che non controlla direttamente. La sua presenza al CPAC è stata un tentativo di giocare su più tavoli, ma la freddezza di Trump e dei suoi fedelissimi dimostra che la partita è tutt’altro che vinta.
Articolo equilibrato. La premier Meloni si trova tra l’incudine e il martello. La visione americana sul conflitto è cambiata.