Oggi, 3 ottobre, celebriamo la Giornata Nazionale in Memoria delle Vittime dell’Immigrazione, istituita nel 2016 per commemorare la strage di Lampedusa del 2013, dove persero la vita 368 persone. È un momento che va oltre la retorica delle parole: richiama a riflettere sul senso di giustizia e umanità, ma anche sulle responsabilità storiche e sulle realtà migratorie del passato e del presente. In una società in cui l’immigrazione è spesso ridotta a uno scontro ideologico, è essenziale recuperare la memoria, confrontare esperienze e sfidare le semplificazioni.
Immigrazione: non solo questione di sopravvivenza
L’idea che si debba migrare esclusivamente per sopravvivere è, di fatto, una visione limitante e riduttiva. Storicamente, l’essere umano ha sempre migrato non solo per scampare a guerre e persecuzioni, ma anche per migliorare le proprie condizioni economiche, sociali e culturali. Anche i nostri nonni e bisnonni italiani, che nei primi decenni del Novecento partirono verso le Americhe e l’Europa settentrionale, non fuggivano da guerre, ma dalla miseria e dalla mancanza di opportunità in un’Italia rurale e povera. Cercavano non solo di vivere, ma di vivere meglio.
Eppure, non furono respinti con violenza o lasciati morire su barche fatiscenti in mezzo al mare. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), solo nel 2024, tra gennaio e agosto, oltre 1.024 migranti sono morti o scomparsi nel Mediterraneo centrale durante la traversata verso l’Europa. Di questi, 421 sono stati vittime accertate, mentre 603 risultano dispersi, tragicamente cancellati dalle onde senza lasciare traccia .
Le loro storie ci riportano alla cruda realtà di un dramma che va oltre le statistiche. Si pensi alla storia di una mamma eritrea trovata aggrappata al corpo del figlio di tre anni mentre il mare li inghiottiva entrambi. Lottando con tutte le sue forze per tenerlo a galla, è riuscita a tenerlo stretto fino a quando la fatica e le onde hanno prevalso. Le due figure, madre e figlio, sono state ritrovate abbracciate, congelate in quell’ultimo, disperato tentativo di resistenza. Questo confronto con il passato mette a nudo le attuali ipocrisie e discriminazioni verso chi oggi bussa alle nostre porte, ricordandoci che un diritto fondamentale è il diritto a sognare una vita migliore. Quando sentiamo dire che chi emigra oggi “non è un vero rifugiato” perché cerca opportunità economiche, siamo di fronte a una distorsione che smentisce la nostra stessa storia.
La memoria delle stragi e il ruolo della politica
La strage di Cutro, avvenuta il 26 febbraio 2023, è un doloroso esempio della brutalità di un sistema che troppo spesso chiude gli occhi. Le immagini di quei corpi sulle spiagge calabresi, come quelle delle centinaia di vittime annegate nel Mediterraneo, devono essere un monito costante: non si può restare indifferenti. Le recenti polemiche sulle responsabilità delle istituzioni e il rimpallo di colpe tra i vari ministeri ci ricordano quanto sia importante che la politica non si arrocchi su slogan, ma costruisca ponti, non muri.
Roberto Saviano nel suo saggio In mare non ci sono taxi smaschera le retoriche del disimpegno e dell’indifferenza. “In mare si muore”, scrive, e non esistono soluzioni facili, ma solo una responsabilità collettiva di salvare vite umane. Una visione che contrasta con chi, come il Generale Roberto Vannacci o il Ministro Matteo Salvini, ha spesso dipinto l’immigrazione con toni allarmistici e divisivi, dimenticando che dietro i numeri e le statistiche ci sono volti, storie e speranze. Nel 2023 sono state 3.231 le persone morte o scomparse nel Mediterraneo e nell’Atlantico nord-occidentale, rendendolo uno degli anni più letali dal 2017 .
Tra queste tragedie, non si può dimenticare quella della piccola Sara, di appena cinque anni, trovata su una spiaggia libica dopo che la barca su cui viaggiava si era capovolta. La madre, sopravvissuta, non ha mai lasciato il luogo del ritrovamento, restando a piangere su quel tratto di sabbia per giorni, incapace di accettare l’idea di lasciare la figlia sola in quella terra straniera.
Papa Francesco e l’accoglienza come pilastro del cristianesimo
Anche Papa Francesco, figlio di migranti italiani originari del Piemonte, non ha mai smesso di richiamare l’attenzione del mondo su questo tema. La sua storia personale è essa stessa una storia di migrazione e speranza, come lo fu quella di milioni di italiani che cercarono fortuna nelle Americhe. Non a caso, il suo primo viaggio pastorale fuori dal Vaticano, il 9 luglio 2013, fu proprio a Lampedusa. In quell’occasione, con parole che oggi suonano profetiche, stigmatizzò l’“indifferenza globalizzata” e denunciò la “cultura dello scarto”, che permette che esseri umani vengano trattati come numeri.
E ancora, l’11 maggio 2023, Papa Francesco ha inserito nel Rosario una nuova litania, “Regina dei Migranti”, a sottolineare che la preghiera e la memoria devono diventare azione e giustizia. Non basta commuoversi per un giorno all’anno, serve un cambiamento di mentalità e politiche concrete di accoglienza e integrazione.
Guardare al passato per non ripetere gli errori
Non possiamo dimenticare che gli stessi italiani, durante le grandi ondate migratorie tra Ottocento e Novecento, furono spesso vittime di pregiudizi e discriminazioni in paesi come gli Stati Uniti e l’Argentina. In America, i nostri connazionali venivano chiamati “wops” (without papers, senza documenti) e venivano ghettizzati e additati come pericolosi. Ma nessuno pensò mai di lasciarli morire in mare. Questo deve essere un monito per chi oggi si arroga il diritto di giudicare quale sia il “migrante meritevole”.
Le tragedie nel Mediterraneo devono farci riflettere sull’umanità condivisa e sull’importanza di politiche migratorie che rispettino la dignità di ogni persona. Secondo l’UNHCR, tra il 2018 e il 2023, oltre 11.100 persone sono morte o risultano disperse lungo le sole rotte del Mediterraneo centrale . E ogni numero ha una storia dietro. Come quella di Samir, un bambino di sette anni che viaggiava con la madre e i fratellini. Quando il gommone si è bucato, la madre ha cercato di tenerli tutti a galla, ma il piccolo Samir è scivolato via. Il corpo non è mai stato ritrovato. Non è solo una questione di accoglienza, ma di giustizia.
Un nuovo umanesimo per il XXI secolo
Questa giornata non è solo un’occasione per ricordare, ma anche per agire. È tempo di superare la retorica della paura e dell’odio e promuovere un nuovo umanesimo basato su accoglienza, integrazione e solidarietà. Come ricordato dal Papa a Lampedusa, “Chi ha perso la capacità di piangere ha perso anche la capacità di vivere umanamente”. In mare non ci sono taxi, ma ci sono vite umane da salvare. È tempo che le politiche e le scelte riflettano questa consapevolezza.