Il 1° dicembre si celebra la Giornata Mondiale della Lotta contro l’AIDS, una ricorrenza che, nel 2024, rischia di passare sotto silenzio, schiacciata da false percezioni e dalla mancanza di un discorso pubblico adeguato. Nonostante i progressi medici straordinari che hanno trasformato l’HIV da una sentenza di morte a una condizione cronica gestibile, il virus continua a mietere vittime, spesso a causa dell’ignoranza, dello stigma e della mancanza di accesso alle cure.

La contraddizione dell’HIV nel 2024

Da un lato, c’è chi considera l’HIV una questione del passato, un problema ormai risolto grazie alle terapie antiretrovirali e alla prevenzione. Dall’altro, permane un’immagine obsoleta e terrificante della malattia, associata a diagnosi tardive e a un regime medico punitivo. Entrambe le percezioni sono sbagliate, ma hanno un effetto comune: alimentano l’indifferenza.

I dati italiani del 2023 raccontano una realtà diversa. Più di duemila persone hanno ricevuto una diagnosi di HIV, spesso tardiva, e oltre cinquecento sono morte di AIDS, una condizione evitabile con una diagnosi precoce e le terapie adeguate. Questo accade in un contesto dove la profilassi pre-esposizione (Prep) è ancora scarsamente accessibile, i test vengono fatti troppo tardi, e l’uso del preservativo è in calo, specialmente tra i giovani.

U=U: un messaggio che deve arrivare a tutti

Dal 2011 sappiamo che una persona con HIV in trattamento antiretrovirale e con carica virale non rilevabile non può trasmettere il virus. Questo principio, noto come U=U (undetectable = untransmittable), dovrebbe essere la base di una campagna informativa su larga scala. Tuttavia, è sconosciuto a molti, anche tra coloro che potrebbero beneficiarne direttamente.

Le terapie antiretrovirali, oggi disponibili con una pillola al giorno o un’iniezione ogni pochi mesi, eliminano il virus dal sangue e permettono di vivere una vita piena, senza restrizioni. Tuttavia, lo stigma sociale legato all’HIV persiste, alimentato da anni di disinformazione e da pregiudizi radicati.

Il ruolo delle comunità e delle associazioni

Di fronte a un sistema sanitario nazionale frammentato, le associazioni di volontariato, come il Milano Checkpoint, svolgono un ruolo fondamentale. Queste realtà offrono test gratuiti e anonimi, accesso alla Prep e attività di sensibilizzazione, colmando le lacune lasciate dalle istituzioni. In un paese dove solo undicimila persone assumono la Prep, contro le novantamila della Francia, questi sforzi sono essenziali per ridurre le nuove infezioni.

Il modello dei Checkpoint, basato sull’approccio tra pari, dimostra che avvicinare i servizi alle persone, anziché aspettare che siano le persone a cercare i servizi, può fare la differenza. È un modello che combina efficacia sanitaria e umanità, ma che necessita di maggiore sostegno economico e istituzionale.

La responsabilità collettiva

Se il discorso sull’HIV si concentra troppo spesso sulla responsabilità individuale, è importante ricordare che questa entra in gioco solo in assenza di una responsabilità collettiva. Sta a tutti noi, come società, garantire l’accesso ai test, alla Prep e alle terapie, così come promuovere campagne di sensibilizzazione capillari e inclusive.

Durante la pandemia da Covid-19, abbiamo imparato che la salute individuale è legata a quella collettiva. Questo principio vale anche per l’HIV: testarsi, prevenire e curare non riguarda solo chi è direttamente coinvolto, ma l’intera comunità.

Nel 2024, l’HIV non è più una condanna a morte, ma rimane un’emergenza sanitaria e sociale che non possiamo permetterci di ignorare. Le morti per AIDS, che potrebbero essere evitate con una diagnosi precoce e una terapia adeguata, sono un fallimento della collettività, non degli individui.

La Giornata Mondiale della Lotta contro l’AIDS dovrebbe essere un’occasione per riaffermare l’importanza della prevenzione, dell’accesso alle cure e del superamento dello stigma. Fare di più non è solo possibile, ma necessario, per garantire che nessuno muoia più di una malattia che la scienza ha già sconfitto.