INCHIESTA/TESTIMONIANZA: Il primo luglio 1997, Hong Kong passava dalla sovranità britannica a quella cinese, inaugurando un’era di speranze e promesse. Le autorità locali avevano lanciato una campagna di branding, definendo Hong Kong la “città del mondo dell’Asia”, un simbolo di apertura e vivacità nonostante il cambio di controllo. Ma ventisette anni dopo, l’aria che si respira è ben diversa. Emily Lau Wai-hing, ex giornalista e legislatrice pro-democrazia, lamenta amaramente i cambiamenti radicali e l’aumento delle incarcerazioni.

Hong Kong non è mai stata una democrazia completa, ma le sue libertà, una volta invidiate, sono state notevolmente ridotte. La legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel 2020 e la legislazione dell’articolo 23 hanno soffocato le libertà fondamentali, punendo severamente chi osa opporsi al regime. Il primo luglio, giorno dell’anniversario della consegna, era tradizionalmente un momento di manifestazioni di massa per chiedere libertà e diritti democratici. Quest’anno, il silenzio delle strade riflette la paura e la repressione.

Emily Lau, che ha servito come legislatrice per un quarto di secolo, ricorda tempi in cui la città godeva di libertà significative, pur non essendo una democrazia piena. Oggi, quelle libertà sono un lontano ricordo. Le restrizioni sulla libertà di espressione sono soffocanti: non si possono pubblicare libri, produrre film o persino esporre alcune opere nei musei. Questa censura diffusa sta inibendo profondamente la creatività e l’espressione culturale di Hong Kong.

La situazione è aggravata dall’incarcerazione di attivisti pro-democrazia, accusati di sovversione per aver semplicemente organizzato primarie elettorali. Le elezioni del Consiglio Legislativo sono state rinviate e modificate per permettere solo ai “patrioti”, definiti da Pechino, di candidarsi. Questo cambiamento ha ulteriormente minato la fiducia nella già fragile democrazia di Hong Kong.

Le misure repressive non si fermano qui. Rafforzati i controlli alle frontiere, negando l’ingresso a attivisti democratici e giornalisti stranieri, e mettendo taglie sugli attivisti fuggiti all’estero, il regime mostra una determinazione ferrea a sopprimere ogni dissenso. Lau ricorda l’incontro con Margaret Thatcher nel 1984, quando chiese alla premier britannica se fosse moralmente giusto consegnare milioni di persone a una dittatura comunista senza consultarli. La risposta pragmatica di Thatcher, che preferiva un accordo con la Cina a nessun accordo, oggi risuona come un grave errore.

Oggi, Lau auspica che Pechino allenti la sua presa su Hong Kong, sostenendo che un approccio più morbido potrebbe prevenire ulteriori disordini e migliorare l’economia locale. Tuttavia, la strategia del presidente Xi Jinping, che incorpora ogni aspetto della società sotto il concetto di sicurezza nazionale, suggerisce un futuro di controllo ancora più stretto.

Nonostante la situazione critica, Lau non ha perso la speranza. Crede fermamente che le libertà e i diritti sanciti nella Legge fondamentale e nella dichiarazione congiunta sino-britannica possano essere ripristinati. La battaglia per la libertà a Hong Kong è lungi dall’essere finita, e Lau rimane una voce resiliente in difesa dei diritti fondamentali che un tempo definivano questa città unica.

In un mondo sempre più polarizzato, Hong Kong rappresenta un monito e una speranza. La comunità internazionale deve continuare a vigilare e a sostenere coloro che lottano per la libertà. La storia di Hong Kong ci ricorda che la libertà non è mai garantita, ma è un diritto per cui vale sempre la pena combattere.