È in corso un acceso dibattito all’interno degli schieramenti politici per l’elaborazione di una proposta di legge sulla possibilità di legalizzare in Italia la maternità surrogata – “utero in affitto” – e di offrire un legale riconoscimento genitoriale per i figli adottati dalle coppie omosessuali od omogenitoriali in quanto tali.
Il problema è complesso perché affonda le sue radici in questioni innanzitutto antropologiche e quindi etiche, traducibili infine in termini giuridici.
Al centro del dibattito si deve innanzitutto collocare l’indisponibilità della vita umana e il rispetto verso il materiale biologico umano.
A questo si aggiunge poi l’aspetto sociale ed economico illuminato dal valore intrinseco della persona.
Nell’antica Roma i proletari erano coloro che, appartenenti alle classi meno abbienti, potevano vantare come ricchezza, alle volte esclusiva, la risorsa umana dei figli.
Due millenni più tardi Karl Marx indicò col termine di proletari la classe sociale degli operai e dei contadini, ingranaggio all’interno degli strumenti di produzione detenuti dai borghesi “iniqui e sfruttatori”.
I figli come dono, non come dovuto
Se la prole rappresenta un dono inestimabile, essa non può mai rappresentare un dovuto sia per i ricchi che per i poveri.
Il progresso biomedico ha fatto credere che tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente consentito.
Qualche decennio fa, la legalizzazione dell’aborto induceva a far credere che la non perseguibilità giudiziaria dell’atto significasse altresì la sua automatica liceità.
Oggi sono proprio le acquisizioni della scienza, dell’embriologia e della neonatologia, ad affermare che lo zigote è già un essere umano con potenziale di sviluppo, non un essere umano in potenza.
A questo nemmeno un genio come S. Tommaso d’Aquino ci era arrivato nel medioevo, malgrado la sua fede e la sua scienza.
Il desiderio sofferto e irrealizzato di avere un figlio naturale spinge molte coppie a fare ricorso alla procreazione medicalmente assistita (PMA) che dal 2014 può essere anche in Italia eterologa, cioè risultato di una fecondazione artificiale con gamete estraneo a un membro della coppia.
Se i desideri alle volte inappagati di genitorialità suscitano compassione nell’opinione pubblica, poco o niente si dice sulla percentuale di insuccesso di impianto dell’ovulo fecondato che condanna un embrione alla morte a compassione zero.
Altrettanto poco o per niente si discute sulle “vite sospese” di embrioni criocongelati prodotti in sovrannumero e destinati allo scarto letale.
Il dibattito sulla maternità surrogata e sull’adozione dei bambini nelle “famiglie arcobaleno” si piega quasi sempre alla logica dell’egoismo singolo o di coppia che prescinde da quel terzo soggetto fondamentale che è il bambino stesso.
La difesa dei più deboli e fragili della società che rappresenta il leitmotiv della sinistra politica è rimasto fermo all’anacronistico slogan delle femministe quando in piazza gridavano invocando la legge sull’aborto: “L’utero è mio e me lo gestisco io!”
Premesso che la persona è più dell’insieme delle parti, altrimenti non si dovrebbe procedere alle isterectomie terapeutiche, il contenuto dell’utero e cioè il feto, non è di proprietà della donna e tampoco è possibile controllarne il naturale sviluppo salvo azione violenta e soppressiva.
Il grembo materno, prima dimora dell’essere umano, luogo di accoglienza della vita, viene oggi cosificato e mercificato a causa della maternità surrogata.
Così come la banca del seme o degli ovuli risponde a una logica di mercato che attiva i più poveri alla vendita del loro materiale biologico fecondante, allo stesso modo ci sono donne che prestano il proprio corpo alla gestazione di un bimbo.
Ci sono padri e madri che non conosceranno mai i propri figli biologici e ci sono donne alle quali sarà strappato il frutto del loro grembo non appena partorito.
Se da parte degli attori in campo tali scelte sono spesso sofferte, ma consapevoli e libere, non è giusto infliggere una discordanza tra il biologico, il legale e il sociale a un’ignara vita nascente. Invocare altresì la concordanza tra diritti sociali e civili appare una forzatura retorica, più vicina allo slogan che al Diritto.
In India, dove la pratica è legale, il fenomeno degli uteri in affitto ha raggiunto volumi d’affari miliardari per l’organizzazione.
Alle gestanti volontarie, vengono dati compensi derisori, trattandosi spesso di donne che vivono nella miseria e nella ricattabilità.
Nella laica Parigi del 2016, le associazioni femministe organizzarono un convegno per avanzare la proposta di abolire la surrogazione di maternità in tutto il mondo, poiché considerata una pratica che calpesta la dignità della donna e che va contro ai diritti non solo delle donne ma anche dei neonati.
Nuove difficoltà per le adozioni
Le coppie gay, giocoforza di uomini, premono sui legislatori affinché venga loro riconosciuto il matrimonio egalitario e il riconoscimento genitoriale per entrambi.
Quanto al desiderio di fare ricorso all’adozione prescindendo dagli artifici biologici, il problema interpella la giustizia.
Da oltre vent’anni l’Italia è uno dei paesi dove è più difficile procedere per l’adozione. Per adottare all’estero è stata imposta la mediazione di associazioni e per un’operazione del genere si parte dai venti mila euro. Cifre per coppie tanto ricche quanto disperate.
A livello nazionale custodire bambini nelle case-famiglia e spingerli fino alla soglia dell’adolescenza rappresenta un indotto per molti a spese del contribuente.
I requisiti di idoneità per l’adozione sono molto stringenti. Allargare il cordone per le coppie omosessuali significherebbe fare un torto e ridurre gli spazi di speranze per le coppie eterosessuali che da anni aspettano una possibilità di sentirsi chiamare “mamma e papà”.
“Il conflitto d’interessi”
Un tempo si parlava di “conflitto d’interessi” quando Berlusconi al governo limitò le intercettazioni e sdoganò leggi sull’emittenza privata.
La novella segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che dichiara candidamente in TV di essere “fidanzata con una donna fino a quando la sopporterà”, sembra cadere nella stessa mancanza di terzietà.
Le libertà e i diritti personali sono una cosa; i diritti pubblici applicati a pochi sono altra cosa.
Per la sua singolarità, va segnalata una decisione del Tribunale di Venezia (31 maggio 2017) che, pur aderendo l’indirizzo della Suprema Corte e rilevando in concreto la completa affidabilità della coppia di mamme, ha ritenuto tuttavia di dover evidenziare nella succinta motivazione (in condivisibile ossequio al principio di concisione degli atti processuali) – che le stesse sono (e, si intende, dovranno essere) consapevoli della necessità che i figli si relazionino con persone di orientamento non omosessuale.
No alla sperimentazione educativa
Papa Francesco, in un incontro con il Movimento della Vita, ribadì il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva.
Questo comporta al tempo stesso sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli.
Il Papa poi aggiunse: «…E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto le vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’».
Analisi lucida su un problema in evoluzione al quale il legislatore non riesce a dare risposte fino a quando non si riconoscono dei principi.