Il testo di Stefano Iucci pubblicato su Avvenire denuncia con toni accesi una problematica centrale nel dibattito politico italiano: la gestione delle pensioni minime, in particolare l’ultimo aumento irrisorio di appena 1,8 euro al mese. L’articolo non solo evidenzia le discrepanze tra le promesse elettorali e le azioni concrete del governo, ma approfondisce anche le radici strutturali di un sistema previdenziale che appare sempre più inadeguato a rispondere alle esigenze delle fasce più fragili della popolazione.

Un’analisi tecnica: cifre che parlano da sole

L’aumento delle pensioni minime del 3% (corrispondente a 1,8 euro al mese) è emblematico della disconnessione tra le esigenze reali e le soluzioni offerte dall’esecutivo. Questo incremento, basato su un indice di rivalutazione dello 0,8% e su un’aggiunta straordinaria del 2,2%, appare del tutto insufficiente per contrastare gli effetti di un’inflazione che ha eroso pesantemente il potere d’acquisto dei pensionati. Non solo il rialzo è minimo, ma avviene in un contesto in cui le perdite subite negli ultimi anni, quantificate dalla Cgil in decine di migliaia di euro per molti pensionati, risultano ormai irreversibili.

Le cifre fornite dall’articolo sottolineano la gravità del problema: per un pensionato medio, le decurtazioni accumulate possono arrivare a decine di migliaia di euro sull’arco della vita. È evidente che l’attuale sistema di indicizzazione, anche con i piccoli aggiustamenti proposti, non è in grado di recuperare il terreno perso.

Una questione di priorità politiche

L’articolo pone una critica frontale al governo, accusato di concentrarsi sugli slogan piuttosto che su interventi strutturali. La richiesta di ampliare e rafforzare la quattordicesima da parte dei sindacati appare ragionevole, ma l’esecutivo sembra mancare una visione di lungo termine. In un Paese con un alto tasso di invecchiamento e un sistema previdenziale già sotto pressione, l’assenza di politiche sostenibili e strutturali rischia di compromettere ulteriormente il benessere delle generazioni più anziane.

Mobilitazione e tensioni sociali

La reazione dei sindacati, culminata in una mobilitazione di massa il 29 novembre 2024, riflette il crescente malcontento sociale. Come sottolinea Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil, la questione delle pensioni si intreccia con altre problematiche sistemiche, quali l’equità fiscale, la regolazione degli extra profitti e la necessità di politiche più inclusive per giovani e donne. La manifestazione non è solo una risposta alle politiche previdenziali, ma anche un segnale più ampio di insoddisfazione verso un governo percepito come distante dai bisogni delle fasce più vulnerabili.

Il contesto storico e il rischio di una “crisi previdenziale”

Questo episodio si inserisce in un quadro più ampio di difficoltà del sistema previdenziale italiano. Da un lato, l’invecchiamento della popolazione e il calo delle nascite mettono sotto pressione i conti pubblici. Dall’altro, la precarizzazione del lavoro e i bassi salari impediscono la creazione di una base contributiva solida per garantire pensioni dignitose alle future generazioni. In questo contesto, aumenti come quello di 1,8 euro rappresentano una risposta non solo insufficiente, ma potenzialmente deleteria per il consenso sociale.

La necessità di una svolta

L’articolo di Iucci evidenzia con efficacia l’urgenza di una revisione radicale delle politiche previdenziali. È necessario un intervento coraggioso che metta al centro le persone più fragili, ma anche una visione lungimirante che affronti il problema alla radice, agendo sulla qualità del lavoro, sull’equità fiscale e sul rilancio dell’economia. Senza una strategia chiara, il rischio è quello di perpetuare un sistema che non solo non tutela i pensionati di oggi, ma mette in pericolo anche quelli di domani.