I colpi di stato in Africa sono diventati ultimamente un teatro di manovre geopolitiche, grazie alla miscela esplosiva di fattori locali.
I paesi africani hanno subito 98 colpi di stato di successo dal 1952, secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite.
Il fenomeno ha conosciuto il livello più basso nel decennio 2007 – 2017, un periodo che includeva la primavera araba e l’estinzione di autocrati di lunga data come l’egiziano Hosni Mubarak.
Il pendolo è fortemente oscillato nella direzione opposta negli ultimi tempi.
Come ai tempi della guerra fredda le potenze egemoni cercano spazi in un continente ricco di risorse naturali, in stabile crescita demografica e costante sviluppo economico e sociale, malgrado le tante contraddizioni e sperequazioni.
In Guinea i leader del colpo di stato hanno giustificato le loro azioni citando la rabbia pubblica per la corruzione diffusa; in Mali e Burkina Faso, invece, i golpisti hanno affermato di avere una risposta all’onda della militanza islamista che affligge i loro paesi.
In Ciad, prendere il potere è una tradizione di famiglia. Il presidente Mahamat Idriss Déby, è subentrato nel 2021 dopo che suo padre, che era salito al potere in un colpo di stato del 1990, è stato ucciso in una battaglia.
Il Niger sembrava diverso. Nonostante una lunga storia di colpi di stato, la nazione saheliana di 25 milioni di persone sembrava essere sulla strada della stabilità sotto il signor Bazoum, che era stato eletto presidente nel 2021. Non si era abbastanza tenuto conto delle tensioni con il capo della guardia presidenziale, il generale Tchiani, che sembrano aver avviato l’ammutinamento.
“I colpi di stato arrivano semplicemente come rondini. C’è un effetto di contagio. Vedi che i tuoi colleghi nei paesi vicini hanno rovesciato i civili e ora il tappeto rosso è rotolato sotto i tuoi piedi. Tu vuoi lo stesso” ha affermato il dott. Issaka K. Souaré, l’autore di un libro sui colpi di stato in Africa occidentale.
Alcuni colpi di stato scioccano, altri meno…
È il caso del golpe ai danni di Ali Bongo Ondimba (ABO) nella notte tra il 29 e il 30 agosto. I militari hanno annunciato la creazione di un “Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni” (CTRI).
Il generale Brice Clotaire Oligui Nguema, capo della Guardia repubblicana, è stato nominato capo dello Stato e investito il 4 settembre con grande pompa e sotto gli applausi diffusi.
Nessuna o poche minacce da parte della comunità internazionale, condanne pronunciate con la punta delle labbra, scene di gioia per le strade di Libreville… Oligui non è Tiani e il Gabon non ha nulla a che fare con il Niger, ovviamente.
Pur essendo anche il Gabon un’ex colonia di Parigi, le ragioni del colpo di Stato in questa piccola nazione di due milioni di abitanti, sono diverse.
Per diversi osservatori potrebbe trattarsi di un colpo di Stato che punta davvero a riportare la democrazia e la sovranità al popolo. O almeno questa è la speranza. In Gabon la famiglia Bongo era al potere ininterrottamente da 56 anni.
Omar Bongo Ondimba aveva governato dal 1967 al 2009, anno del suo decesso.
I Bongo sono stati a lungo accusati di corruzione. Nel 2021 si è scoperto che Ali aveva legami con entità offshore segrete in paradisi fiscali internazionali, come rivelato dall’inchiesta Pandora Papers.
Rimane il fatto che gli spazi lasciati liberi da una politica estera statunitense e francese sempre più disinteressata all’Africa sono stati prima occupati dalla Cina e successivamente dalla Russia che ha creato una campagna mediatica anti-francese consapevole che il Continente rappresentasse un ultimo e più facile bastione per cercare spazi oltre il proprio territorio.
Con l’aiuto dei controversi mercenari della Wagner che rimangono una protesi militare della madrepatria al servizio di Putin, i nuovi capipopolo si assicurano il controllo della popolazione e del territorio.
I jihadisti, come pedine di un risiko, sono funzionali a giustificare la presenza di una forza militare esterna che assicuri sicurezza.
Un nuovo attore interessante che cerca influenza sul continente africano è la Turchia dell’imperialista Erdogan.
Potenza regionale e sicuramente meno dotata rispetto a Cina e Russia, ha saputo raccogliere le briciole lasciate da tempo cadere da Stati Uniti e Francia sempre più concentrati sui loro problemi interni e convinti di aver sufficientemente attinto al pozzo africano ipotecando sul futuro ripristino della sua falda.
Cambiano gli attori, ma lo sfruttamento di una ricca e nobile terra da parte di nuovi coloni rimane.