L’azione del governo Meloni, come descritto nel testo che analizza lo scontro istituzionale con la magistratura e la Corte europea, rappresenta un pericoloso segnale di deriva autoritaria. Questo non è semplicemente uno scontro di competenze tra poteri dello Stato, ma un attacco mirato a minare uno dei fondamenti del sistema democratico italiano: la separazione dei poteri e il rispetto del diritto internazionale e costituzionale. Il tentativo del governo di imporre un controllo politico su questioni giudiziarie, in questo caso legate alla gestione dell’immigrazione, dimostra la volontà di forzare il quadro normativo per perseguire obiettivi ideologici.
In particolare, la critica di Giorgia Meloni e del ministro della Giustizia Carlo Nordio alla magistratura e alla Corte di Giustizia europea appare come un tentativo di piegare la legge alla propria visione politica. Il governo, contestando le sentenze che proteggono i diritti dei migranti, adotta una posizione che non solo ignora la legislazione vigente, ma cerca attivamente di ridurre il potere della magistratura, promuovendo una narrazione in cui la politica può decidere chi abbia diritti e chi no. Questo si riflette nella critica alla “parte politicizzata della magistratura”, un termine utilizzato per delegittimare le decisioni giudiziarie sfavorevoli, creando un pericoloso precedente di ingerenza politica nelle decisioni della giustizia.
Uno degli elementi centrali di questa battaglia è la questione dell’immigrazione, un tema che il governo Meloni ha strumentalizzato per rafforzare il consenso elettorale. Tuttavia, l’approccio di Meloni non risolve il problema, anzi lo complica ulteriormente: il tentativo di definire “Stati sicuri” a piacimento per accelerare i rimpatri non solo contrasta con i diritti fondamentali garantiti dalle convenzioni internazionali, ma apre anche un conflitto istituzionale con la Corte Costituzionale e il Quirinale. Come giustamente osservato, un tale decreto, se emanato, verrebbe subito contestato dalle stesse istituzioni giudiziarie, portando lo scontro ai massimi livelli.
L’azione del governo è inoltre caratterizzata da un palese uso strumentale della politica estera, come nel caso del protocollo con l’Albania. Questa misura, presentata come una soluzione per ridurre gli arrivi irregolari, si è rivelata fallimentare sia dal punto di vista legale che umano. Il governo ha speso ingenti somme pubbliche in un accordo che non ha ottenuto risultati concreti e ha ignorato i diritti fondamentali dei migranti. A ciò si aggiunge un atteggiamento pericoloso verso i Paesi terzi, classificati come “sicuri” senza una valutazione seria delle condizioni reali in cui vivono i migranti deportati. Definire un Paese “sicuro” non può essere un atto puramente politico, come cerca di fare il governo, ma deve rispettare criteri oggettivi legati al rispetto dei diritti umani. Altrimenti, si rischia di esportare persone in contesti dove possono essere soggette a torture, maltrattamenti o discriminazioni, contravvenendo ai principi della legislazione internazionale.
L’aspetto più preoccupante di questa situazione è la retorica che accompagna le azioni del governo. Slogan come “lasciateci lavorare” e l’insistenza sulla sovranità popolare contro la magistratura evocano una visione del potere politico come onnipotente, legittimato solo dal consenso elettorale. Tuttavia, il principio fondamentale di una democrazia costituzionale è che anche il governo è soggetto alle leggi, alle istituzioni e ai trattati internazionali che ha firmato. La separazione dei poteri non è un ostacolo alla governabilità, ma una garanzia di equilibrio e tutela dei diritti, inclusi quelli dei più deboli, come i migranti.
L’attacco continuo alle istituzioni giudiziarie rischia di indebolire la fiducia nelle istituzioni stesse e di promuovere una visione della politica come lotta di potere senza limiti. Questo tipo di retorica non è nuova nella politica italiana, come già visto con Berlusconi, ma l’escalation attuale è ancora più pericolosa. Mentre Berlusconi cercava di difendere i suoi interessi personali, Meloni e il suo governo stanno usando la questione migratoria come terreno di scontro ideologico, facendo leva sulle paure e sull’ostilità verso l’altro per consolidare il consenso. Tuttavia, questa strategia, oltre a essere moralmente discutibile, non risolverà le sfide dell’immigrazione, ma creerà solo nuovi conflitti interni ed esterni.
Il governo Meloni si sta spingendo su un terreno pericoloso, dove la difesa della “sovranità” e il “rispetto della volontà popolare” sono utilizzati come scudo per giustificare violazioni dei diritti e attacchi all’indipendenza della magistratura. Questo approccio rischia di minare lo Stato di diritto e la credibilità dell’Italia a livello internazionale, portando il Paese a un arretramento nel campo dei diritti umani e della democrazia.
Insistere sullo stesso tasto politico diventa ideologia e produce un effetto boomerang.
Valeva la pena mettere in piedi uno sforzo così gravoso dal punto di vista logistico, e prima ancora economico, per far fronte a una presunta emergenza che, stando ai freddi numeri, tale non appare? Anche sul fronte dei minori non accompagnati, fenomeno che preoccupa per i suoi risvolti umani e sociali, oltre che per le ricadute sulla sicurezza – tanti under 18 finiscono in strada e rischiano di essere sfruttati o “arruolati” dalla criminalità – i dati dicono che rispetto a un anno fa c’è stata una drastica riduzione degli arrivi. Non è previsto che vengano spediti in Albania, ma è comunque utile dare uno sguardo anche alla loro situazione, se si vuole avere un quadro più preciso di un fenomeno migratorio che sembra toccare l’Italia in misura più contenuta rispetto al recente passato.