La situazione in Libano continua a essere il crocevia di tensioni regionali e di profonde contraddizioni interne. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri Abdallah Rashid Bou Habib segnano un momento cruciale per il futuro del Paese, ma al contempo rivelano il peso di un conflitto latente che trascende i confini nazionali, intrecciandosi con le dinamiche geopolitiche del Medio Oriente.

La tregua sospesa: tra responsabilità e opportunità

Il ministro Bou Habib, nel ribadire la disponibilità del Libano a implementare la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, punta il dito contro Israele, accusandolo di perpetuare un’occupazione che alimenta la resistenza. È evidente che il Libano desidera voltare pagina: l’impegno a inviare 5.000 soldati aggiuntivi a sud e la dichiarazione di voler garantire il monopolio delle armi al governo sono segnali concreti. Tuttavia, la condizione posta – il ritiro israeliano completo – resta un nodo irrisolto. Israele, da parte sua, interpreta la presenza di Hezbollah nel sud come una minaccia esistenziale, e le sue incursioni nel territorio libanese sono parte di una strategia preventiva.

La disponibilità a negoziare da entrambe le parti, sebbene condizionata, potrebbe aprire spiragli per un cessate il fuoco stabile. Tuttavia, il peso delle rivalità storiche e delle reciproche diffidenze rende il percorso verso la pace fragile e incerto.

Hezbollah e la questione della sovranità

La promessa di Bou Habib di eliminare ogni arma che non sia sotto il controllo dello Stato è ambiziosa e rischia di essere irrealizzabile senza un consenso interno. Hezbollah, con la sua doppia natura di forza politica e milizia armata, rappresenta non solo un attore autonomo, ma anche uno strumento di pressione iraniana nella regione. Disarmare Hezbollah significherebbe toccare il cuore delle dinamiche di potere interne al Libano, e ciò potrebbe destabilizzare ulteriormente il Paese, già piegato da una crisi economica e istituzionale senza precedenti.

Il Libano si trova così in una posizione complessa: da un lato, cerca di riaffermare la propria sovranità e il controllo sulle proprie forze armate; dall’altro, è consapevole che la questione di Hezbollah non può essere risolta unilateralmente, né ignorata, data la sua influenza politica e il suo ruolo strategico.

Il ruolo di UNIFIL e la crisi della sicurezza interna

Gli attacchi alle Forze armate libanesi (LAF) rappresentano un sintomo della debolezza strutturale del Paese. Nonostante la loro neutralità dichiarata, i soldati libanesi sono diventati bersagli, segno che l’instabilità interna sta esplodendo in modo incontrollabile. La missione UNIFIL, che da decenni cerca di mantenere una fragile calma nel sud del Libano, è oggi più che mai sotto pressione. Il sostegno internazionale alla stabilità del Libano dipenderà dalla capacità di UNIFIL e delle LAF di lavorare insieme, ma anche dalla volontà delle potenze regionali di evitare un’escalation.

Una pace fragile tra memoria e futuro

Le parole del ministro Bou Habib – “fin quando ci sarà l’occupazione ci sarà la resistenza” – rievocano una memoria storica radicata nell’identità libanese. Il Paese dei Cedri ha sofferto troppo a lungo le conseguenze delle guerre regionali e delle ingerenze straniere, e il desiderio di pace sembra essere condiviso dalla maggioranza della popolazione. Tuttavia, la pace richiede compromessi difficili: Israele dovrà abbandonare ogni ambizione di controllo territoriale, e il Libano dovrà affrontare con coraggio le sue contraddizioni interne, a partire dalla questione Hezbollah.

La possibilità di una tregua e di un negoziato reale dipende non solo dagli attori locali, ma anche dalla comunità internazionale. Gli Stati Uniti, che Bou Habib ha chiamato in causa, e le altre potenze devono assumersi la responsabilità di favorire una soluzione che garantisca la sovranità libanese e la sicurezza israeliana.
La pace è possibile, ma richiederà un equilibrio delicato tra diplomazia,
compromesso e una visione condivisa del futuro del Libano come Paese indipendente e stabile.