La colonizzazione interna avvenuta nel Sud, sostiene Zitara, ha creato un esercito di consumatori piuttosto che di lavoratori. Lo strato superiore di questi consumatori (intellettuali, libere professioni, burocrati statali, politici locali e nazionali, etc.) funge da sbocco per i surplus demografici delle classi dominanti, che svolgono un ruolo di “borghesia acquirente” simile a quello dei paesi del Terzo Mondo. Al contrario, gli strati inferiori costituiscono una sorta di «proletariato esterno» (categoria usata anche da Samir Amin) coinvolto nell’economia di mercato capitalista attraverso la mediazione di forme ibride di produzione.

Quest’antagonismo di classe tra centro e periferia, che implica un conflitto di interessi tra il proletariato interno ed esterno, non solo è applicabile dal livello nazionale a quello mondiale, ma è applicabile anche, alle stesse aree centrali del sistema mondiale. In particolare, Samir Amin classifica le nazioni dell’Europa orientale e meridionale come semiperiferiche, in quanto si sono gradualmente trasformate in economie estroverse, costrette, dalla divisione ineguale del lavoro, a produrre merci inferiori il cui lavoro trova meno valorizzazione.

Il capitalismo, specialmente nella sua fase suprema, quella imperialistica, presuppone lo sfruttamento dei popoli del mondo a vantaggio delle cittadelle industriali e dei grandi poli imperialistici mondiali. Tale forma di selvaggio sfruttamento ha sempre trovato, nella pubblicistica borghese e capitalista, le più varie e altrettanto odiose forme di giustificazione: dal culto assoluto della liberalizzazione del mercato, a quelle della civilizzazione, passando per l’affermazione della superiorità etnica o razziale.

Non bisogna, tuttavia, andare lontano nella ricerca di questi presupposti politici, economici e culturali per la spoliazione dei paesi dominanti: nelle parole di Gramsci per definire la sostanza del dominio del norditaliano sul Mezzogiorno ritroviamo essenzialmente l’espressione particolare della vocazione coloniale e predatoria del capitalismo: citando i termini dell’ideologia propagandando dalla borghesia del Nord Italia, 

«il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema capitalistico o di qualsivoglia altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari temperando questa sorte matrigna con la esplosione puramente individuale dei grandi geni, che sono come le solitarie palme in un arido e sterile deserto»[1].

I termini della questione posta tra i primi da Gramsci si attaglia bene a racchiudere in sé tutta l’ideologia colonizzatrice che, dai tempi dell’accumulazione originaria attraverso lo sfruttamento predatorio delle colonie americane e orientali, ha costituito la premessa economica e l’altra faccia fondamentale del sistema di produzione capitalistico e del mercato mondiale[2].

Che l’esempio ora proposto della colonizzazione settentrionale sul meridione d’Italia rappresenti uno spaccato fondamentale sul complesso e generale meccanismo di colonizzazione è stato spesso affermato.

«Il dramma del Meridione ci ha preparati, attrezzati a capire ciò che sta avvenendo a livello mondiale. D’altra parte, il Meridione non è una molecola isolata, ma è inserito nel vasto fronte delle vicende mondiali»[3].

La lotta per l’emancipazione del «proletariato esterno» e dei popoli soggetti alla colonizzazione imperialista come momento fondamentale della lotta di classe generale è divenuto «l’alveo principale» della lotta di classe stessa. In sostanza, i presupposti fondamentali di una politica imperialista moderna, che innova rispetto al colonialismo originario che aveva fatto parzialmente da ostacolo, a causa della parcellizzazione dei mercati dominati in via diretta ed esclusiva, per l’espansione del mercato mondiale grazie allo sfruttamento predatorio, sono rappresentati dalla trasformazione delle masse nei paesi colonizzati in proletariato e manodopera per l’industria dei paesi imperialistici; la «massificazione» dell’economia coloniale e dei suoi prodotti grazie al mercato internazionale, specialmente nel settore delle materie prime. Ciò ha significato produzione e prodotti a basso costo e costruzione di una massa enorme di forza-lavoro ora a disposizione dell’industria tecnologicamente più avanzata.

Se tutto questo è vero, è chiaro che il conflitto tra le nazioni centrali e periferiche può essere interpretato come una forma di conflitto di classe. Pertanto, nessun internazionalismo astratto può nascondere il fatto che gli interessi delle classi subordinate nei centri non coincidono, se non nel lungo periodo, con quelli delle classi subordinate nelle periferie. Nicola Zitara, analizzando il caso della colonizzazione dell’Italia meridionale da parte delle regioni settentrionali, porta questo punto di vista all’estremo quando scrive che «il coraggio di riconoscere che oggi non c’è coesione, non intendo punti di forza ma interessi tra le classi subordinate delle due Italia»[4].

In conclusione, gli intrecci che passano per le classi potenzialmente rivoluzionarie, attraverso linee contrapposte sia di reddito che territoriali e geografiche, e circondano un’area ricca di conflitti interni, seppur del tutto contrari agli interessi dell’élite capitaliste mondiali. Insomma, non esiste un soggetto privilegiato capace di sostituire la classe operaia nel ruolo di antagonista “oggettivo” del governo capitalista. Si tratta quindi di capire come unificare questa moltitudine di soggetti per creare le condizioni, se non per un’immediata transizione al socialismo, per un ambiente economico, sociale, politico e culturale in cui la transizione diventi concepibile e proiettabile. Ciò implica la necessità di riaprire un’ampia riflessione sui concetti di nazione, popolo, Stato e partito.


[1] GRAMSCI A. (1970), Alcuni temi della quistione meridionale, in GRAMSCI A., La quistione meridionale, pagg. 151-152.

[2] VASAPOLLO L. (2019), Eppur sempre si muove…, Edizioni Efesto, Roma.

[3] ZITARA N. (1977), Il proletariato esterno, Jaca Book, Milano. pagg. 156-157.

[4] ZITARA N. (1977), Il proletariato esterno, Jaca Book, Milano.