Le recenti dichiarazioni di Papa Francesco sull’aborto in Belgio hanno scatenato un’ondata di indignazione politica e mediatica che ha scosso il Paese. Definire l’aborto come “omicidio” e i medici che lo praticano come “sicari” non è certo una novità nel linguaggio del Pontefice, ma l’accento posto sul tema durante la sua visita in Belgio ha portato la discussione su un terreno particolarmente sensibile, soprattutto considerando il contesto politico attuale. La risposta del Primo Ministro belga Alexander De Croo, con toni decisi e duri, segna un momento di forte attrito tra la Chiesa e uno Stato che si considera, oggi più che mai, completamente secolarizzato.
De Croo non ha esitato a richiamare il nunzio apostolico per esprimere il proprio malcontento e ha ribadito con fermezza che la legislazione democratica del Belgio non può subire interferenze da autorità religiose esterne. “L’epoca in cui la Chiesa dettava l’agenda politica è finita”, ha affermato il premier, cogliendo l’occasione per rinfocolare le critiche all’istituzione cattolica riguardo alla gestione degli abusi sessuali. Parole forti, che mettono in luce come il Belgio voglia difendere la propria sovranità legislativa, ma che al tempo stesso segnalano un’insofferenza crescente nei confronti dell’ingerenza ecclesiale su questioni etiche e bioetiche.
La reazione del governo belga riflette un malessere profondo che si annida in una società da tempo decristianizzata. Non sorprende, quindi, che i media locali abbiano accolto le parole del Papa con editoriali taglienti e polemici. Il quotidiano Le Soir ha pubblicato in prima pagina un commento dal titolo eloquente: “In Belgio, non è il Papa a fare le leggi, alleluia!”. Una scelta che, oltre a sottolineare un’ironia amara, riafferma la distanza tra la visione morale della Chiesa e quella della società civile belga. La televisione pubblica RTBF, tramite l’editorialista Bertrand Henne, ha parlato di “grande disagio” e di un Papa “in netto contrasto” con la realtà del Belgio contemporaneo.
Il nodo centrale della questione è il dibattito sull’estensione del periodo legale per l’interruzione volontaria di gravidanza dalle attuali 12 settimane a 18. L’intervento del Papa, in questo contesto, è apparso come una sfida diretta a un governo che intende ampliare i diritti riproduttivi. Tuttavia, la fermezza con cui Francesco ha ribadito la sua posizione non deve essere letta come semplice ingerenza, ma come un richiamo a principi etici fondamentali per la dottrina cattolica, che considera l’aborto una violazione della vita umana.
La visita papale ha così generato un effetto paradossale: anziché stimolare il dialogo, ha esacerbato la distanza tra la Chiesa e la società belga, mettendo in difficoltà anche la comunità cattolica locale. L’episcopato belga, tradizionalmente orientato al dialogo e al compromesso, si è trovato improvvisamente al centro di una polemica che minaccia di alienare ulteriormente i fedeli e di inasprire i già delicati equilibri interni. Alcuni esponenti della Chiesa belga hanno cercato di difendere il Papa, come il vicario generale di Liegi, padre Éric de Beukelaer, che ha ricordato il diritto e il dovere della Chiesa di “scuotere le coscienze”. Altri, come il padre Gabriel Ringlet, hanno invece preso le distanze, definendo le parole di Francesco “offensive” nei confronti dei medici che operano nel rispetto della legge e con il massimo rispetto per le sofferenze delle donne coinvolte.
Ma cosa ci dice tutto questo sul ruolo della Chiesa in una società secolarizzata? L’incidente diplomatico tra Belgio e Vaticano riapre la questione più ampia della presenza pubblica della religione. Se da un lato lo Stato belga rivendica la propria autonomia legislativa e la laicità delle proprie istituzioni, dall’altro si deve riconoscere che il Papa non è solo un capo di Stato, ma anche un leader morale che si rivolge a una platea globale e che rappresenta una comunità di milioni di credenti. La sua voce, pertanto, non può essere confinata a un semplice commento esterno.
Ciò che emerge, quindi, è un paradosso: mentre la Chiesa belga sperava che la visita papale potesse rappresentare un’occasione di rinnovamento e di riavvicinamento, l’enfasi posta su un tema così divisivo ha finito per trasformare l’evento in un potenziale “gancio mancato”. L’aspirazione a un dialogo costruttivo sembra essersi infranta contro un muro di incomprensioni reciproche, lasciando dietro di sé una sensazione di occasione perduta.
Nel frattempo, le parole del Papa continuano a fare eco in Belgio, dove il confronto sul futuro della legislazione sull’aborto non potrà più prescindere dal giudizio morale espresso dalla Chiesa. La questione, però, rimane aperta: in un contesto così secolarizzato, la voce del Papa può ancora avere un peso nel plasmare il dibattito pubblico? O si tratta di un confronto che inevitabilmente lascerà la Chiesa ai margini, incapace di incidere su scelte che ormai le sfuggono?
In ultima analisi, la visita del Papa in Belgio ci ricorda quanto sia difficile, oggi, per la Chiesa mantenere un equilibrio tra fedeltà ai propri principi e capacità di dialogare con un mondo che cambia. Forse, l’unico modo per affrontare queste sfide è quello di accettare che il cammino del dialogo sarà sempre irto di ostacoli, ma che ciò non esime la Chiesa dal continuare a parlare, anche quando la sua voce suona scomoda.