Forse lo definiamo visionario, forse affetto da una lucida follia, innamorato di una politica che possa essere esempio di amore e servizio per il bene comune. Il patologico ottimista ha una visione del futuro che, pur consapevole delle difficoltà e delle contraddizioni, mantiene viva la fiducia nella capacità umana di costruire un mondo migliore. Questo richiede un impegno morale e politico che riconosca il valore intrinseco di ogni individuo e la necessità di garantire i diritti fondamentali come base per una convivenza pacifica e giusta. Con un briciolo di patologico ottimismo, possiamo credere che il meglio debba ancora venire.
Come evidenziato da Kant, senza la speranza di tempi migliori, un serio desiderio di agire per il bene generale non avrebbe mai animato il cuore umano. Questo principio, lungi dall’essere un generico ottimismo, trova il suo fondamento nella razionalità, intesa come capacità di comprendere e affrontare le complessità della realtà.
Eppure, chiunque guardi il mondo con gli occhi di un patologico ottimista non può fare a meno di intravedere una scintilla di speranza anche nelle più oscure delle circostanze. La speranza nel progresso si configura come un presupposto essenziale dell’impegno morale e politico. Essa si contrappone alla passiva accettazione dell’esistente, costituendo una permanente energia politica capace di trasformare le istituzioni e la società. Le emergenze planetarie che accomunano i popoli del mondo, come le pandemie, i cambiamenti climatici e le disuguaglianze globali, rappresentano sia una sfida sia un’opportunità. In queste tragedie condivise risiede il potenziale per unificare le energie collettive verso cause comuni e per riformare le istituzioni sovranazionali, espandendo il paradigma garantista e costituzionale.
Il pensiero kantiano e le successive elaborazioni filosofiche offrono strumenti per comprendere come la dignità possa guidare l’umanità nella risoluzione di problemi globali. L’espansione di un sistema di garanzie dei diritti fondamentali, che superi i confini nazionali, è cruciale. Questo approccio implica il riconoscimento di alcuni beni essenziali per la sopravvivenza umana come extra commercium, al di fuori delle logiche di mercato, perché strettamente legati alla dignità ontologica.
Per chi, come un patologico ottimista, crede fermamente nella capacità dell’umanità di risollevarsi dalle proprie ceneri, la riflessione sul male e sulle sue forme arricchisce ulteriormente il dibattito. Il male, nelle sue molteplici manifestazioni, è al tempo stesso una forza che genera angoscia e una lente attraverso cui analizzare l’esistenza umana. Dalla prospettiva kantiana, il male radicale si inscrive nella libertà umana, ponendo una sfida alla razionalità e al progresso morale. Tuttavia, il riconoscimento di questa ambiguità è il primo passo verso la costruzione di un ordine sociale e politico più giusto.
L’introduzione del pensiero di altri autori, come Dostoevskij e Nietzsche, arricchisce la discussione sul rapporto tra male e progresso. Dostoevskij, ad esempio, esplora la natura dell’homo absconditus, mettendo in luce le contraddizioni dell’animo umano e la tensione tra aspirazioni morali e pulsioni distruttive. Nietzsche, dal canto suo, celebra una visione dionisiaca dell’esistenza, accettando il negativo come parte integrante della vita. Queste prospettive sottolineano come il progresso non sia lineare, ma intrecciato con conflitti morali e tensioni interiori.
Un vero ottimista, però, sa vedere nelle pandemie non solo un segnale d’allarme, ma un’occasione di bene. Esse hanno rivelato l’inadeguatezza delle istituzioni sovranazionali e la fragilità delle garanzie dei diritti, nonostante la loro codificazione in molteplici carte e convenzioni. Tuttavia, come osserva Gianbattista Vico, le traversie possono diventare opportunità. La crescente interdipendenza tra i popoli della terra può generare una solidarietà senza precedenti, rifondando la politica come una politica interna del mondo. Ciò richiede un impegno collettivo per ridefinire i confini della sovranità nazionale e costruire istituzioni che rispondano efficacemente alle sfide globali.
La riflessione sull’interdipendenza e sulla solidarietà globale trova un terreno fertile anche nella dimensione etica. L’impegno morale richiede un superamento dell’individualismo, riconoscendo che la sopravvivenza dell’umanità dipende dalla capacità di garantire i beni comuni e i diritti fondamentali a tutti gli esseri umani. Questa prospettiva implica una revisione profonda dei modelli economici e politici, promuovendo un paradigma basato sulla sostenibilità e sull’equità.
In questo contesto, la speranza non è solo un elemento teorico, ma una forza pratica che ispira l’azione collettiva. La consapevolezza teorica della possibile soluzione ai problemi globali deve tradursi in un impegno concreto per trasformare le istituzioni e le politiche. Questo richiede una rinnovata fiducia nel noi, intelligenza integrale per superare le sfide, mantenendo saldo il principio che il progresso è possibile solo attraverso la cooperazione e la solidarietà.
Il patologico ottimismo si inscrive allora nell’interdipendenza crescente tra i popoli della terra, capace di generare una nuova forma di solidarietà e di rifondare la politica su basi etiche e globali. Questa solidarietà è un antidoto alla frammentazione e un elemento costitutivo della speranza razionale, che trova nella ragione il suo fondamento e nella politica il suo strumento. Solo un ottimista può osare sperare in un mondo dove la solidarietà prevalga sui conflitti, dove l’umanità sappia ritrovarsi unita dinanzi alle sfide.
La speranza razionale e il progresso rappresentano non solo un ideale, ma una necessità storica e filosofica. Essi offrono una visione del futuro che, pur consapevole delle difficoltà e delle contraddizioni, mantiene viva la fiducia nella capacità umana di costruire un mondo migliore. Questo richiede un impegno morale e politico che riconosca il valore intrinseco di ogni individuo e la necessità di garantire i diritti fondamentali come base per una convivenza pacifica e giusta. Con un briciolo di patologico ottimismo, possiamo credere che il meglio debba ancora venire.