Il liberalismo politico di Locke ha posto le basi per molte delle libertà e dei diritti che consideriamo fondamentali nelle democrazie moderne. Il suo pensiero, che si oppone all’assolutismo e promuove la libertà individuale, continua a influenzare il dibattito politico e filosofico contemporaneo. Tuttavia, come ogni grande teoria, non è privo di contraddizioni, e il suo impatto storico deve essere considerato nel contesto del suo tempo e delle sue limitazioni.

Locke, con il suo pensiero politico espresso nei Due Trattati sul Governo, ha gettato le basi del liberalismo moderno, distinguendosi come uno dei più influenti filosofi della storia politica occidentale. La sua opera rappresenta una rottura radicale con le teorie politiche precedenti, in particolare con la dottrina paternalistica di Robert Filmer, autore del Patriarcha. Filmer sosteneva che la società politica dovesse essere organizzata come una famiglia, con un sovrano che, come un padre, detiene un potere assoluto sui suoi sudditi per il loro stesso bene. Questa concezione, che Filmer giustificava richiamandosi ad Aristotele, presentava elementi platonici, assimilando la città a un’unica famiglia. Tuttavia, mentre Platone vedeva nella città una famiglia estesa, Aristotele distingueva chiaramente tra il governo della famiglia e quello della città, riservando a ciascuno un modello di autorità diverso. Locke, nel suo attacco a Filmer, sottolinea che Adamo non ha ricevuto da Dio un’autorità assoluta su tutti gli uomini e che, quindi, il potere politico non può derivare da un diritto divino ereditato. Al contrario, Locke afferma che tutti gli uomini sono per natura uguali, in quanto dotati di ragione, e che nessun padre, e tantomeno un sovrano, può vantare poteri assoluti su altri individui. L’autorità politica, secondo Locke, deve basarsi sul consenso di tutti, non su un diritto divino o su un’autorità naturale che privilegi un individuo su un altro

Come Locke afferma: “La libertà dell’uomo nello stato di natura consiste nell’avere soltanto la legge di natura come regola. Egli è libero dalla volontà di qualsiasi altra persona” .

Nel secondo Trattato, il filosofo inglese sviluppa ulteriormente la sua teoria, sostenendo che per natura gli uomini sono inclini a vivere in pace e a cooperare reciprocamente. Questa visione dell’essere umano è diametralmente opposta a quella di Thomas Hobbes, che vedeva lo stato di natura come una condizione di guerra di tutti contro tutti. Per Locke, invece, lo stato di natura è uno stato di libertà e uguaglianza, in cui gli individui aspirano alla massima libertà possibile e cercano di proteggere la propria vita, libertà e proprietà. Questi tre diritti naturali sono inalienabili e costituiscono il nucleo del liberalismo politico di Locke. In particolare, il diritto di proprietà si fonda sul lavoro: quando un individuo applica il proprio lavoro a una parte della terra, quella parte diventa di sua proprietà, perché il lavoro è un’estensione della persona stessa . Questa concezione riflette l’etica della nuova classe borghese inglese, che vedeva nel lavoro e nella proprietà privata la base della propria identità e del proprio potere.

Tuttavia, il padre del liberalismo riconosce che lo stato di natura, sebbene pacifico e cooperativo, non è immune da conflitti. Quando gli uomini violano i diritti altrui, minacciando la proprietà, la libertà o la vita, diventa necessaria l’istituzione di un’autorità politica per risolvere questi conflitti e garantire la giustizia. Nasce così la società politica, che Locke identifica anche come società civile, attraverso il contratto sociale. Questo contratto non rappresenta una rinuncia ai diritti naturali, ma piuttosto un trasferimento del potere di difendere tali diritti a un’autorità comune, il sovrano. Il sovrano, in questo contesto, non è un monarca assoluto, ma un custode dei diritti naturali, incaricato di proteggere la vita, la libertà e la proprietà dei cittadini . Il contratto sociale deve essere garantito da una costituzione, un documento vincolante sia per il sovrano che per i sudditi, che sancisca anche la divisione dei poteri. Questa divisione è cruciale per prevenire l’accumulo di troppo potere in una sola mano, che potrebbe minacciare le libertà individuali. Locke distingue tre poteri: il legislativo, affidato al parlamento, che deve fare leggi conformi alla legge naturale; l’esecutivo, affidato al sovrano, che deve applicare queste leggi; e il federativo, che riguarda il potere di far rispettare i patti e di condurre le relazioni esterne, anch’esso sotto la supervisione del sovrano o dei suoi rappresentanti .

Lo Stato, quindi, nella visione lockiana, è distinto dalla società civile e non deve interferire nella vita privata dei cittadini. Questo principio è alla base delle libertà civili, tra cui la libertà di religione, di opinione, di associazione politica e di iniziativa economica. Qualora lo Stato violi queste libertà, Locke sostiene che i cittadini abbiano il diritto di resistergli e, se necessario, di ribellarsi. 

Come afferma Locke: “Quando un re si mostra deliberatamente risoluto a calpestare ogni legge e a demolire le fondamenta della società, coloro che hanno diritto di resistere devono farlo senza esitazione” . 

Questa idea, che conferisce un ruolo attivo ai cittadini nella protezione delle loro libertà, rappresenta un fondamento del liberalismo politico, che si oppone fermamente all’assolutismo politico.

Il pensiero di Locke non si limita alla sfera politica, ma si estende anche alla dimensione economica, dove anticipa concetti chiave del liberismo economico. Egli sostiene che lo Stato non debba imporre limiti alle iniziative economiche dei cittadini, lasciando che queste si sviluppino liberamente. La libertà economica è parte integrante della libertà individuale e della proprietà privata. La proprietà, infatti, non è solo un diritto naturale, ma anche un frutto del lavoro, che l’individuo applica alla terra o ad altre risorse. Questa visione si inserisce perfettamente nel contesto dell’emergente capitalismo inglese, dove la proprietà privata e l’iniziativa individuale erano visti come pilastri della prosperità economica. Il pensiero lockiano riteneva che l’accumulo di ricchezza, tramite il lavoro e l’uso efficiente delle risorse, fosse non solo legittimo, ma anche moralmente giustificato. L’introduzione della moneta, che permetteva di accumulare ricchezza senza necessariamente aumentare la quantità di beni materiali, apriva nuove possibilità per l’espansione economica e la crescita del benessere individuale e collettivo. Tuttavia, questa visione economica non è priva di contraddizioni. Mentre promuoveva la libertà e l’uguaglianza, Locke giustificava la schiavitù e la colonizzazione, vedendole come strumenti legittimi di sviluppo economico. Questa giustificazione si basava sull’idea di una “guerra giusta”, in cui gli indigeni americani, essendo stati sconfitti, potevano essere assoggettati e resi schiavi. Come osserva parte della dottrina: “La teoria politica di Locke riflette e giustifica i rapporti economici e sociali emergenti del suo tempo, compresi quelli che oggi considereremmo oppressivi” . Questi aspetti mettono in luce le tensioni interne al pensiero lockiano, dove il desiderio di espandere la libertà e la prosperità si scontra con le pratiche oppressive e ingiuste del suo tempo.

Il liberalismo politico ed economico di John Locke quindi ha gettato le basi per molte delle libertà e dei diritti che consideriamo fondamentali oggi. Tuttavia, il suo pensiero deve essere compreso nel contesto delle sue contraddizioni e delle limitazioni storiche. Sebbene abbia fornito una robusta difesa della libertà individuale e della proprietà, la sua giustificazione della schiavitù e della colonizzazione solleva questioni morali che continuano a essere rilevanti nel dibattito contemporaneo. Nonostante queste tensioni, il suo contributo rimane cruciale per il pensiero politico e filosofico moderno, e la sua visione della libertà continua a ispirare le lotte per i diritti umani e la giustizia sociale nel mondo di oggi.