Papa Francesco ha incontrato in Mongolia la sua Chiesa ideale. Durante il suo viaggio dal 1 al 4 settembre ha continuato ad incoraggiare la piccola comunità cattolica del paese di 1400 fedeli per 3,3 milioni di abitanti.
All’uscita della cattedrale di San Pietro e San Paolo di Ulan-Bator, ha fatto scena la foto da un drone di “tutti i cattolici della Mongolia”.
Si tratta infatti di una delle più piccole comunità del mondo accompagnate dal cardinale Giorgio Marengo, unico vescovo del paese.
Sono venticinque i sacerdoti presenti in questo paese dove le temperature possono raggiungere, in inverno, i – 40 gradi, e poche decine di suore, tutte in missione in questo paese dell’Asia centrale.
Durante il suo storico viaggio in Mongolia, dal 1 al 4 settembre, Papa Francesco ha incontrato ciò che ha continuato a ritrarre come una forma di Chiesa ideale.
Una Chiesa alle periferie del mondo, come lui le apprezza, in un paese dove i cattolici costituiscono solo una piccola minoranza.
Il numero, ha detto loro, non ha importanza.
“La piccolezza non è un problema, ma una risorsa”, ha affermato nella cattedrale.
Lui, che è convinto che il centro sia meglio percepirlo dalle periferie, ha continuato: “Sì, Dio ama la piccolezza e ama realizzare grandi cose attraverso la piccolezza”.
In questa Chiesa fondata sulla carità, i cui primi missionari si sono occupati di orfani, malati e hanno aperto case per disabili, il cattolicesimo si sviluppa adottando “lo stile di servizio che Gesù ci ha insegnato”,ha detto Papa Francesco poche ore prima della sua partenza dal paese.
Ha infatti inaugurato una “casa della misericordia”, centro di beneficenza gestito dalla Chiesa cattolica nella cpaitale Ulan-Bator.
Il Papa ha lodato le virtù di coloro che attuano nel Paese un “servizio puramente gratuito e disinteressato, per chi ha bisogno; non sulla base di una ricompensa finanziaria, ma per puro amore per il prossimo”.
Questa Chiesa, che ha paragonato alla “comunità cristiana primitiva”che realizzava a suo tempo “le parole di Gesù”,non può crescere per proselitismo, ha insistito Francesco.
Un’ideologia che ha sempre respinto con vigore.
Non si tratta nemmeno di usare le opere sociali in uno spirito di conquista, ha affermato.
Il Papa ha voluto rompere il mito secondo il quale la Chiesa cattolica, che si distingue in tutto il mondo per il suo grande impegno nelle opere di promozione sociale, fa tutto questo per proselitismo, come se prendersi cura degli altri fosse una forma di convinzione per attirare “dalla sua parte”.
Qui, non c’è bisogno di mettere in pericolo contro il clericalismo, denunciato da Francesco in tutto il mondo, specialmente davanti alle comunità cattoliche d’Occidente, che spesso ritiene rivolte a se stesse, ossessionate dalla loro perdita di influenza e rosicchiate dalle lotte di potere.
Non c’è nemmeno bisogno di tormentare i vescovi, in questo paese che ne ha uno solo.
Durante il viaggio, le parole del Papa sono state piuttosto quelle di un uomo che sostiene una piccola comunità, lontana ma fedele.
“Vi incoraggio a proseguire su questa strada feconda e benefica per l’amato popolo mongolo”, ha detto nella cattedrale.
Prima di continuare: “Siatesemprestretti alle persone,prendendovi cura di loro personalmente, imparando la loro lingua, rispettando e amando la loro cultura, non lasciandovi tentare da certezze mondane”.
Il Papa, invece, li ha avvertiti dell’esaurimento, e del rischio di vedere la loro presenza come “una successione di azioni dovute, che finirebbe per non trasmettere altro che stanchezza e frustrazione”.
Al contrario, ha consigliato, “rimanendo a contatto con il volto di Cristo, scrutandolo nelle Scritture e contemplandolo in un silenzio di adorazione davanti al tabernacolo, lo riconoscerete sui volti di coloro che servite”.
Tutto, in Mongolia, gli ha ricordato che era lontano da Roma.
Compreso quando, in diverse occasioni, si è trovato a presentare la Chiesa cattolica ad attori politici che, ovviamente, la conoscevano molto poco.
“La Chiesa cattolica, istituzione antica e diffusa in quasi tutti i paesi, testimonia una tradizione spirituale nobile e feconda, che ha contribuito allo sviluppo di intere nazioni in molti campi della vita umana, della scienza e della letteratura, dall’arte alla politica”, ha così insistito durante il suo primo discorso, pronunciato al palazzo presidenziale, davanti ai leader del paese di Gengis Khan.
L’affetto di Papa Francesco per la piccolissima Chiesa della Mongolia si è materializzato nel corso dei quattro giorni di visita, anche grazie la costante presenza del cardinale Marengo al suo fianco.
Il prefetto apostolico di Ulan-Bator, unico vescovo in questo paese che non ha nemmeno una sola diocesi, promosso l’anno scorso quale più giovane cardinale della Chiesa cattolica, è uno dei principali artigiani dell’insediamento della Chiesa nella regione.
“Il vero missionario è colui che arriva e muore sulla sua terra”, aveva sottolineato il giovanissimo cardinale di 49 anni, venuto, lo scorso maggio, a prendere possesso della chiesa di San Giuda-Apostolo, a Roma.
Davanti ai fedeli italiani di questa parrocchia situata in un quartiere della periferia della capitale italiana, il cardinale il novello cardinale della Mongolia aveva allora evocato il senso delle comunità più lontane del Vaticano:“Danno il sapore della Chiesa cattolica”.