La recente approvazione da parte del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti degli adattamenti liturgici proposti dalla diocesi di San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, rappresenta un momento storico per la Chiesa cattolica. Questo passo, guidato dal cardinale emerito Felipe Arizmendi e dal vescovo Rodrigo Aguilar Martínez, non solo valorizza la ricchezza culturale dei popoli originari, ma apre una nuova strada verso una liturgia realmente inculturata e universale.

Il significato dell’approvazione

Con questa decisione, la Chiesa riconosce ufficialmente riti che includono danze, musica, l’uso dell’incenso e una maggiore partecipazione delle donne, già praticati in molte comunità indigene della diocesi. Non si tratta di introdurre novità estranee, ma di legittimare espressioni di fede radicate nella cultura locale e pienamente in armonia con il rito romano.

Come ha sottolineato il vescovo Aguilar Martínez, questi adattamenti rappresentano una forma di incarnazione della fede, rispettando le tradizioni e aiutandole a raggiungere “la loro pienezza in Cristo e nella Chiesa”. È un riconoscimento che eleva queste celebrazioni da semplici “usi e costumi” a liturgia autentica della Chiesa.

Una Chiesa che ascolta le culture

La diocesi di San Cristóbal de las Casas, dove il 70-75% della popolazione è indigena, diventa così un modello per il processo di inculturazione liturgica. Lingue come il tzeltal, tzotzil, chol e tojolabal saranno parte integrante della celebrazione eucaristica, unificando l’esperienza liturgica in una realtà culturale multiforme.

Questa approvazione non solo conferma quanto indicato dal Concilio Vaticano II, ma risponde anche al richiamo di Papa Francesco nell’esortazione Querida Amazonia, dove invita la Chiesa a integrare nella liturgia “canti, danze, riti, gesti e simboli” delle culture locali.

Un segno di unità nella diversità

La Chiesa universale è arricchita da questa decisione. Come nel caso del rito dello Zaire, approvato per le diocesi africane, l’esperienza di San Cristóbal de las Casas dimostra che la liturgia cattolica non è un monolite, ma un organismo vivo capace di adattarsi e accogliere la varietà delle culture.

Il processo non è stato privo di difficoltà. Come ha spiegato monsignor Aurelio García Macías, sottosegretario del Dicastero per il Culto Divino, è stato necessario un discernimento approfondito per garantire che gli adattamenti fossero in linea con la tradizione cattolica. Tuttavia, questa esperienza dimostra che la Chiesa può integrare novità senza perdere la fedeltà al suo Magistero.

Un invito alla Chiesa globale

L’approvazione di questi adattamenti non riguarda solo il Chiapas, ma rappresenta un segnale per tutte le comunità che vivono una ricca diversità culturale. È un invito a superare timori e resistenze, valorizzando la ricchezza locale come parte del cammino della Chiesa universale.

Il caso di San Cristóbal de las Casas ricorda che la liturgia, come cuore della vita cristiana, deve essere un segno visibile dell’unità nella diversità. È un richiamo a essere una Chiesa veramente “in uscita”, che si apre alla novità dello Spirito e celebra la fede con il linguaggio di ogni popolo.

Questa approvazione rappresenta un momento di speranza e apertura per tutta la Chiesa, un’occasione per riflettere su cosa significhi davvero essere cattolici: universali e inclusivi.