Il 9 maggio 2023, si è svolta al Palazzo del Quirinale la cerimonia del Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale e delle stragi di tale matrice.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è recato in via Caetani, luogo dove il 9 maggio 1978 fu ritrovato il corpo senza vita dello statista democristiano Aldo Moro, prigioniero delle Brigate Rosse, secondo la versione ufficiale…
Nelle teche della RAI si conservano ore e ore di filmati di fatti di cronaca che possono riportare indietro le lancette della storia del nostro Paese.
Negli Archivi dello Stato, specie in quei faldoni impolverati o cassetti mai più aperti, ci sono frames di importanti immagini o stralci di documenti che, una volta riesumati o desecretati, hanno permesso di rileggere in maniera più autentica la stagione stragista.
Per giornalisti, studiosi e cittadini interessati, è possibile oggi accedere ai risultati delle varie commissioni parlamentari che si sono occupate de’ “gli Anni di Piombo”, consultando archivi open source o richiedendo la consultazione di documenti sensibili, con apposite autorizzazioni.
Mattarella, rivolgendosi oggi alla platea delle alte cariche dello Stato e del Governo, nonché ai familiari delle vittime del terrorismo, non ha nascosto la sua emozione nel far memoria di una parentesi buia della nostra storia repubblicana.
Benedetta Tobagi ha rivolto un saluto al Capo dello Stato, in un pensiero pregno del dolore di una figlia a cui venne strappato il padre, un giornalista colto e coraggioso.
Tobagi era un intellettuale schierato dalla parte della libertà, della verità e della democrazia.
Aldo Moro era un uomo d’alto profilo politico ed etico pervaso dall’amore e dal rispetto per la democrazia e per lo Stato, animato da spirito di libertà e di solidarietà.
La nostra giovane Repubblica, come ricorda Mattarella in un suo discorso che sintetizziamo, si è trovata a fare i conti con il terrorismo politico; con le stragi, talvolta compiute con la complicità di uomini da cui lo Stato e i cittadini si attendevano difesa; con la violenza politica, tra giovani di opposte fazioni che respiravano l’aria avvelenata di scontro ideologico.
Le cifre di quei tragici eventi sono impressionanti: quasi quattrocento vittime per il terrorismo interno, ai quali vanno aggiunti i caduti per il più recente fenomeno del terrorismo internazionale.
Ricordiamo gli appartenenti alle Forze dell’ordine, i magistrati, i militari; gli uomini politici e gli attivisti; i manager e i sindacalisti; i giornalisti; gli ignari passanti, tra cui donne e bambini.
Nel 1976, lo stesso Moro, dopo l’uccisione a Genova del magistrato Francesco Coco, da parte delle Brigate Rosse, fu profetico nel dire: «La risposta non è solo nell’impegno delle autorità competenti nel chiarire la situazione e nel fare giustizia, ma anche nell’unanime reazione morale e politica del Paese e nella compostezza e fermezza con le quali il popolo italiano e le forze politiche sapranno vivere queste ore tristi e difficili della nostra vita nazionale».
Borghesi e proletari si strinsero attorno alle istituzioni nell’adempimento del dovere, dalle fabbriche alle università, fino alle manifestazioni in piazza, quando necessario.
Allo smarrimento iniziale ci fu una reazione civica e culturale che sconfisse, prima il terrorismo e poi la Mafia.
Quest’ultima con i Corleonesi aveva assunto una dinamica violenta simile al terrorismo e diventava pertanto strumentale all’azione politica deviata.
Ancora oggi avvertiamo l’esigenza morale di conoscere la verità su fatti vissuti sulla pelle e sui sentimenti dei nostri padri e di una generazione ancora attiva.
Nulla potrà infatti colmare il dolore, indicibile e irrecuperabile, delle famiglie a cui la lotta armata o i vili attentati hanno strappato un coniuge, un figlio, un genitore, un fratello o una sorella.
«Sono state queste persone, non i terroristi, a fare la storia d’Italia» ha detto Mattarella.
Ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario della morte dell’agente di polizia Antonio Marino, di appena 22 anni, ucciso con una bomba a mano a Milano da appartenenti al gruppo neo-fascista “la Fenice”.
Nello stesso 1973 morirono, bruciati vivi nel rogo di Primavalle, Stefano e Virgilio Mattei, di 22 anni il primo, ancora un bambino il secondo, figli di un esponente del Movimento Sociale Italiano, alla cui casa fu appiccato il fuoco da esponenti di Potere Operaio.
A maggio dello stesso anno, avvenne la strage davanti alla Questura di Milano, che costò la vita a Felicia Bartolozzi, di 60 anni; a Gabriella Bortolon, di 23 anni; a Federico Masarin di 30; a Giuseppe Panzino, di 63; provocando inoltre 53 feriti.
Quarant’anni fa, nel gennaio del 1983, le Brigate Rosse rapirono la vigilatrice del reparto femminile del Carcere di Rebibbia, Germana Stefanini, uccidendola con un colpo alla nuca dopo un processo farsa.
Il mese dopo, sempre a Roma fu ucciso l’attivista del Fronte della Gioventù, Paolo Di Nella, colpito alla testa mentre stava affiggendo manifesti per chiedere l’espropriazione di Villa Chigi: un omicidio ferocemente rivendicato da Autonomia Operaia.
L’allora Presidente Sandro Pertini, si recò al Policlinico, dove l’aggredito era in coma irreversibile per portare la sua solidarietà e compiere un gesto di pacificazione, rivolto ai giovani di opposte fazioni che, nelle nostre città, erano rimasti irretiti nella rete nefasta della violenza e della vendetta.
Nel luglio di quello stesso anno, l’appuntato in congedo dei Carabinieri Giovanni Bosco fu assassinato in Sardegna dal Movimento Armato Sardo per aver testimoniato in tribunale sui legami tra terroristi e criminalità organizzata.
Ricorrono trent’anni dai gravissimi attentati, di matrice terroristico-mafiosa, di Via dei Georgofili a Firenze e di Via Palestro a Milano.
Le vittime di Firenze furono i coniugi Fabrizio Nencioni e Angela Fiume, con le loro figlie Nadia, di 9 anni, e Caterina di appena 50 giorni; e Dario Capolicchio.
E a Milano: Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno, Alessandro Ferrari e Moussafir Driss.
Venti anni fa, a Castiglione Fiorentino, il Sovrintendente della Polizia Ferroviaria, Emanuele Petri, fu ucciso in servizio dai capi delle Nuove Brigate Rosse Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, ritenuti responsabili degli omicidi di Massimo D’Antona e di Marco Biagi.
Quante esistenze distrutte, quante vite sottratte, quanto sangue e quanto dolore sparso in nome di ideologie disumane e respinte dalla storia!
Queste vittime parlano a tutti noi, parlano ai nostri giovani, sollecitandoli a fare delle istituzioni il luogo autentico del confronto politico, a non lasciarsi accecare dall’odio né tentare dalla violenza per imporre le proprie convinzioni.
L’odio e la violenza costituiscono il percorso dei regimi autoritari.
Rappresentano il fallimento dell’umanità, chiamata alla libertà e al rispetto reciproco.
La Repubblica ha saputo produrre i suoi anticorpi, ben sapendo che un clima di scontro violento, parole d’odio, l’avversario trasformato in nemico da abbattere, costituiscono modalità patologiche della contesa politica che, oggi come allora, vanno condannate e respinte con decisione.
È una strada che a taluno appare lunga e faticosa ma è l’unica di progresso della convivenza. L’unica capace di ottenere e mantenere nel tempo pace, serenità, benessere, diritti a tutti i cittadini.
È questo l’insegnamento che ci proviene dalle tante, troppe vittime del terrorismo e dell’eversione.
Intorno alla loro memoria ci stringiamo oggi commossi per ribadire con determinazione: mai più violenza politica, mai più stragi.
Come mai si mette in dubbio la matrice brigatista rossa nel rapimento Moro?
Il braccio militare del sequestro Moro contava sicuramente dei brigatisti tra le sue fila. È acclarato che non agirono da soli sia nella strage di via Fani, sia durante la prigionia. Scrissi tempo fa un articolo più elaborato sulla figura dello statista. Lo inserirò appena possibile sulla nostra rivista mediafighter. Grazie per la domanda.