Oggi, nella 36ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, il tema “Pellegrini di speranza” invita a una riflessione che intreccia la dimensione spirituale con le sfide storiche e attuali del dialogo tra le due fedi. Il riferimento al Giubileo del 2025, con la lettura condivisa del Levitico (“È un giubileo: esso sarà per voi santo” [Lv 25,12]), offre una base per riscoprire le radici comuni e promuovere una visione di giustizia e fraternità.

Tuttavia, come ricorda la storia, il dialogo tra ebrei e cristiani non è stato privo di ombre. 

teoedoti, ad esempio, erano i bambini ebrei che in Europa venivano sottratti alle loro famiglie per essere battezzati e cresciuti nella fede cristiana

Uno dei simboli storici del conflitto ai danni dei cristiani è invece il Toledot Yeshu, un testo medievale ebraico che rappresenta una contro-narrazione della vita di Gesù, nato in un contesto di polemica e di difesa della comunità ebraica contro le persecuzioni e l’antigiudaismo cristiano. Questo testo riflette le ferite di un rapporto difficile: mentre i cristiani ghettizzavano gli ebrei e li costringevano a vivere ai margini della società, gli ebrei rispondevano con una narrazione che sfidava la centralità della figura di Gesù nella cultura cristiana.

Toledot Yeshu sono oggi un richiamo alla necessità di superare il rancore reciproco e di riconoscere le ferite che entrambe le comunità si sono inflitte. Solo attraverso un dialogo sincero e profondo è possibile andare oltre queste ombre storiche, costruendo ponti di comprensione e rispetto.

La ghettizzazione degli ebrei, imposta in molte città europee, che li relegava a vivere in quartieri separati e in condizioni di inferiorità è un monito: il disprezzo e l’esclusione non facilitano il dialogo, ma seminano rancore e divisione.

Un simbolo potente di questa sofferenza e speranza è il dipinto “Crocifissione bianca” di Marc Chagall, un’opera profondamente amata da Papa Francesco. Questo quadro raffigura Gesù, un ebreo, crocifisso al centro di una scena di persecuzioni contro il popolo ebraico. Il dolore della Shoah si intreccia con la speranza della redenzione, offrendo un messaggio universale di pace e riconciliazione. Papa Francesco ha più volte sottolineato il valore di quest’opera, ricordando come il dolore di un popolo non possa mai essere dimenticato o minimizzato.

La profonda amicizia di Papa Francesco con il rabbino Abraham Skorka di Buenos Aires è un esempio concreto di come il dialogo possa abbattere muri e costruire ponti. Insieme, hanno promosso la conoscenza reciproca e il rispetto, offrendo un modello di collaborazione che risuona ancora oggi. Tuttavia, il dialogo non può rimanere privo di una riflessione sulle tragedie contemporanee. Se da un lato il popolo ebraico ha sofferto l’Olocausto, dall’altro si rischia di replicare un “olocausto al contrario” nei confronti dei palestinesi, un popolo anch’esso segnato dalla sofferenza e dall’emarginazione. Le tensioni in Medio Oriente devono essere affrontate con giustizia e compassione, evitando di usare Dio per giustificare la violenza. Come ha ricordato Papa Francesco, “Dio non benedice la guerra”.

Questa Giornata di dialogo è un’occasione per denunciare ogni forma di antisemitismo, ma anche per vigilare su nuove forme di intolleranza e oppressione. La politica, infatti, rischia di inquinare la dimensione religiosa, trasformando la fede in uno strumento di divisione anziché di riconciliazione. La lezione della storia è chiara: ogni azione di esclusione o sopraffazione avrà una risposta davanti a Dio e alla storia.

La speranza, però, non viene meno. Gli incontri di oggi in oltre trenta diocesi italiane testimoniano che ebrei e cristiani possono ritrovarsi insieme non solo come amici, ma come fratelli e sorelle. È un cammino che richiede coraggio, memoria e apertura, ma che può condurre a una pace duratura, nel rispetto delle differenze e nella riscoperta delle radici comuni.