Il recente accordo tra India e Cina per pattugliare un tratto del loro confine condiviso rappresenta un progresso significativo, almeno in superficie, per due giganti asiatici storicamente in contrasto. L’accordo, raggiunto dopo quattro anni di stallo, sembra segnare un momentaneo ritorno al dialogo. Tuttavia, un’analisi più profonda rivela che i problemi strutturali nelle relazioni bilaterali persistono e, senza una visione strategica integrata, rischiano di rimanere irrisolti.

La dualità di una relazione complessa

Sebbene il cessate il fuoco nell’Himalaya abbia permesso al primo ministro indiano Narendra Modi e al presidente cinese Xi Jinping di incontrarsi, non si può parlare di un ritorno alla normalità. In realtà, India e Cina non hanno mai avuto un’autentica normalità nelle loro relazioni. Il sanguinoso scontro nella valle di Galwan nel 2020 ha esacerbato le tensioni, rendendo evidente che la questione del confine è solo un tassello di un mosaico di rivalità più ampio. La Cina, con la sua politica espansionistica, continua a rappresentare una minaccia strategica per l’India sia sul piano regionale che globale.

Sul fronte economico, la dipendenza dell’India dalla Cina è una spina nel fianco per Nuova Delhi. Mentre Modi ha adottato una linea dura sul piano della sicurezza, vietando app come TikTok e scoraggiando gli investimenti cinesi in settori strategici, le importazioni indiane dalla Cina continuano ad aumentare. Questo paradosso evidenzia una lacuna critica nella politica indiana: la separazione tra sicurezza economica e nazionale.

La sicurezza economica: un tassello mancante

L’India ha bisogno di una strategia economica più robusta e coerente per ridurre la sua dipendenza dalla Cina. La creazione di un ministero della sicurezza economica potrebbe rappresentare una svolta. Tale istituzione avrebbe il compito di monitorare e diversificare le catene di approvvigionamento, valutare i rischi derivanti dagli investimenti cinesi e promuovere alternative competitive. Un esempio da seguire è il Giappone, che ha istituito un ministero simile per affrontare le sfide poste dalla pandemia e dalle tensioni geopolitiche.

La sicurezza economica non è un lusso, ma un imperativo strategico. Per l’India, ciò significa investire nella produzione nazionale e ridurre la dipendenza dalla Cina in settori chiave come la tecnologia e i semiconduttori. La transizione verde e i veicoli elettrici, ad esempio, rappresentano aree in cui l’India deve sviluppare competenze domestiche per contrastare il predominio cinese.

Dalla diplomazia al pragmatismo

La linea più assertiva adottata dall’India nei confronti della Cina sotto Modi ha portato a un rafforzamento di alleanze regionali e globali, come il Quad. Tuttavia, il pragmatismo richiede che Nuova Delhi vada oltre le reazioni episodiche agli scontri di confine e sviluppi una visione strategica di lungo termine. Collaborazioni più strette con Taiwan e iniziative congiunte con gli Stati Uniti sono passi nella giusta direzione, ma devono essere accompagnati da un impegno coerente per rafforzare la resilienza economica dell’India.

L’India si trova in un momento cruciale della sua storia geopolitica. Modi, nel suo terzo mandato, ha l’opportunità di rompere i silos tra sicurezza nazionale ed economia e costruire una strategia integrata per affrontare la Cina. Se non lo farà, il peso dell’influenza cinese continuerà a limitare le ambizioni indiane sul palcoscenico internazionale. In un contesto di rivalità crescente, la capacità dell’India di affermarsi come potenza globale dipenderà dalla sua capacità di bilanciare pragmatismo economico e assertività geopolitica. La sfida è enorme, ma lo è anche il potenziale.