Le nuove Indicazioni Nazionali per le scuole del primo ciclo, anticipate dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, propongono un ritorno a un’educazione fortemente identitaria. Si parla di reintrodurre il latino alle scuole medie, di concentrare lo studio della storia sull’Occidente, e di avvicinare i bambini fin dalla seconda elementare ai classici della letteratura e della poesia. Un progetto ambizioso che, tuttavia, solleva dubbi sulla sua adeguatezza in un mondo sempre più globalizzato.
Un ritorno al passato o una necessità culturale?
Il ritorno al latino, pur non obbligatorio, è presentato come un’opportunità per sviluppare competenze di problem solving e rafforzare il legame tra italiano e latino. Tuttavia, ci si chiede se un’ora settimanale sia sufficiente per ottenere risultati concreti o se si tratti di un simbolo più che di una sostanza. Più in generale, la proposta di privilegiare lo studio della storia italiana e occidentale, a scapito di una visione globale, rischia di essere percepita come un segnale di chiusura culturale.
In un mondo sempre più interconnesso, dove l’Asia, l’Africa e l’America Latina giocano ruoli fondamentali nelle dinamiche geopolitiche ed economiche, una formazione incentrata esclusivamente sull’Occidente potrebbe tradursi in un pericoloso isolamento culturale. L’Italia è da secoli un crocevia di culture, e il suo passato non può essere compreso appieno senza considerare il contributo del Medio e del Lontano Oriente, delle influenze arabe e delle interazioni globali.
Riforma o nostalgia del passato?
L’accento sulla grande tradizione classica e sulla letteratura italiana, così come il recupero della musica e della poesia, sono elementi positivi che rispondono a una necessità reale: il declino delle competenze linguistiche e culturali degli studenti italiani. Tuttavia, il problema risiede nel metodo. Concentrarsi sui contenuti senza ripensare i metodi didattici rischia di perpetuare le stesse difficoltà che si vogliono affrontare. L’anello debole della scuola media, per esempio, necessita di un ripensamento strutturale e metodologico, non solo di una revisione dei programmi.
Identità o provincialismo?
L’enfasi sull’Occidente e sull’eredità italiana può essere letta come un tentativo di recuperare un’identità culturale forte in un momento storico caratterizzato da incertezze e globalizzazione. Tuttavia, questa identità non deve trasformarsi in un provincialismo che ignora il resto del mondo. La civiltà italiana, così ricca e complessa, è frutto di contaminazioni e scambi. Escludere altre prospettive rischia di impoverire proprio quella ricchezza che si vuole difendere.
Un’occasione per riflettere
La proposta di Valditara offre spunti di riflessione importanti su cosa significhi educare in un mondo globalizzato. Il rischio è che, nel tentativo di valorizzare le radici culturali, si trascuri l’importanza di comprendere e dialogare con il mondo. Educare significa preparare i giovani ad affrontare la complessità del presente, e ciò richiede uno sguardo ampio, non limitato ai confini di una narrazione unilaterale.
La storia dell’antica Roma e il latino sono fondamentali per capire l’identità italiana, ma devono essere inseriti in un contesto più ampio che tenga conto delle sfide globali. L’educazione non può permettersi di essere nostalgica; deve essere ambiziosa, inclusiva e orientata al futuro. Se questa riforma sarà capace di bilanciare identità e apertura, tradizione e innovazione, potrà essere un passo nella giusta direzione. Altrimenti, rischia di rimanere un esercizio di stile, incapace di rispondere alle reali esigenze della società contemporanea.
È propaganda e isolazionismo che non farà bene al nostro Paese. Siamo in Europa tra i peggiori conoscitori dell’inglese e questo non ci aiuta né nel commercio e tampoco nella diplomazia internazionale.