L’ambiente digitale non è solo un mezzo di comunicazione, ma un vero e proprio “continente” da evangelizzare. Così è stato definito nel Sinodo del 2023 a Roma, dove per la prima volta si è discusso in modo sistematico dell’ambiente digitale come “nuovo spazio” per la missione della Chiesa. L’intuizione del Sinodo è chiara: la missione digitale non è semplicemente uno strumento per comunicare il Vangelo, ma rappresenta un nuovo mondo, una nuova frontiera di evangelizzazione per la Chiesa di comunione e missione.

Ma la sfida di evangelizzare il continente digitale non è nuova. In realtà, è iniziata silenziosamente, senza un mandato esplicito dal Vaticano o dalle autorità ecclesiali. Sacerdoti, religiosi e laici hanno risposto con spontaneità e creatività alla crescente domanda spirituale negli spazi digitali. Come i primi missionari cristiani che andavano incontro alle popolazioni indigene, questi pionieri digitali hanno cominciato a tessere la rete della missione tra podcast, blog, social media e piattaforme di video-sharing. Questo fenomeno, paragonabile al “seme sparso sul terreno”, ha germogliato in modo discreto ma efficace, attirando milioni di persone verso la fede e accompagnandole nel loro cammino spirituale.

Il contesto: Una missione nata dalla spontaneità

Se la Chiesa riconosce oggi l’urgenza di una missione digitale, è perché non può ignorare la realtà che milioni di persone, soprattutto giovani, stanno lasciando gli spazi fisici delle parrocchie e dei gruppi per incontrarsi in spazi virtuali. I numeri sono impressionanti: oltre 5,35 miliardi di persone, pari al 66% della popolazione mondiale, sono connesse a Internet. Questo “nuovo continente” è abitato da persone reali con storie, speranze, dubbi e sofferenze concrete.

Le riflessioni del teologo canadese Bernard Lonergan, S.J., sembrano illuminare questa nuova realtà con sorprendente attualità. Nel suo lavoro del 1972, Method in Theology, Lonergan parlava della necessità di comprendere profondamente le culture e le lingue delle persone per poter comunicare loro il messaggio cristiano. Nel contesto digitale, la cultura non è più legata a uno spazio fisico, ma si estende attraverso reti virtuali che plasmano la nostra comprensione della realtà e delle relazioni. La missione digitale, dunque, non è solo una trasposizione del messaggio tradizionale in un nuovo mezzo: richiede un’inculturazione dinamica, capace di parlare il linguaggio della rete e di entrare in dialogo con le domande che emergono in questo contesto.

La sfida della cultura digitale

Parlare di cultura digitale come di un ambiente che la Chiesa deve comprendere e abitare non è scontato. Finora, la cultura è sempre stata legata a uno spazio fisico e sociale ben definito. Definire il digitale come “cultura” significa riconoscere che è un luogo dove le persone trascorrono una parte significativa della loro vita, e dove formano idee, valori e relazioni. Non è semplicemente un mezzo neutro, ma un ambiente che incide sulla nostra percezione del tempo, dello spazio e persino della nostra identità.

Come ha osservato il Sinodo, il dualismo tra “reale” e “virtuale” non descrive più adeguatamente l’esperienza delle nuove generazioni. Per i cosiddetti “nativi digitali”, il confine tra ciò che è “virtuale” e ciò che è “reale” è poroso e sfumato. Ciò che accade online ha conseguenze tangibili nel mondo fisico: basti pensare alla Primavera Araba, al movimento #MeToo o alle proteste globali scatenate dalla morte di George Floyd. In questo contesto, la missione della Chiesa non può limitarsi a proclamare il Vangelo come ha sempre fatto nei contesti tradizionali: deve entrare nel linguaggio, nei simboli e nei ritmi propri di questa cultura digitale.

Una Chiesa sinodale e missionaria

La sfida della missione digitale si collega a un altro tema cruciale per la Chiesa contemporanea: la sinodalità. Il Sinodo del 2023 ha posto l’accento sulla necessità di una Chiesa che cammini insieme, che ascolti e dialoghi con il mondo. La missione digitale non è un’eccezione a questo principio, ma ne è l’espressione più innovativa e radicale. La sinodalità implica la capacità di riconoscere e valorizzare le voci che emergono dal basso, inclusi quei missionari digitali che, senza attendere autorizzazioni, hanno iniziato a portare Cristo negli spazi virtuali.

La missione digitale, quindi, è anche un richiamo alla Chiesa a diventare più sinodale: a riconoscere, accompagnare e formare coloro che già operano in questi spazi. Questo è il nuovo campo di lavoro per teologi, pastori e operatori della comunicazione ecclesiale. Non si tratta semplicemente di “adattare” i contenuti tradizionali al nuovo mezzo, ma di sviluppare una teologia e una prassi pastorale capaci di abitare il continente digitale con la stessa naturalezza e profondità con cui la Chiesa ha abitato i luoghi fisici.

La missione digitale come opportunità

La missione digitale offre alla Chiesa una straordinaria opportunità di rinnovamento. Non si tratta di un “di più” da aggiungere alle strutture esistenti, ma di una vera e propria rivoluzione del modo in cui la Chiesa si concepisce e si relaziona con il mondo. In questo senso, l’invito del Sinodo ad abbracciare la missione digitale può essere paragonato all’evangelizzazione dei continenti americani nel XVI secolo: una frontiera sconosciuta, ricca di potenzialità, ma che richiede coraggio, discernimento e preparazione.

Come ha affermato Papa Francesco, “non possiamo evangelizzare la cultura digitale senza prima comprenderla”. Lonergan ci ricorderebbe che la comprensione non è un atto passivo, ma un impegno attivo per entrare nel tessuto stesso della cultura, coglierne le risorse e trasformarle dall’interno. Così, la missione digitale diventa una nuova occasione per annunciare Cristo in modi inediti, per accompagnare chi cerca risposte e per costruire comunità di fede anche in spazi apparentemente frammentati e disconnessi.

La missione digitale non è solo una sfida tecnologica, ma un’opportunità per ripensare il volto della Chiesa nel XXI secolo. Come ci ha insegnato Lonergan, la comunicazione del messaggio cristiano deve essere profondamente inculturata, radicata nella realtà delle persone a cui è destinata. Per questo, la Chiesa è chiamata a diventare sempre più una Chiesa in uscita, capace di portare il Vangelo là dove le persone vivono, si confrontano e costruiscono la loro identità, anche quando questo luogo è un “continente digitale”.