SPECIALE SINODO: La riflessione di Papa Francesco durante la veglia penitenziale del 1° ottobre 2024, alla vigilia della seconda sessione del Sinodo, mette in luce un aspetto essenziale per comprendere il percorso sinodale: la Chiesa non può essere una comunità autenticamente sinodale senza un sincero riconoscimento dei propri peccati. Questo discorso, pronunciato in un contesto di preghiera e penitenza, è allo stesso tempo una denuncia profonda e un appello accorato alla conversione. Il Papa non teme di chiamare per nome i peccati della Chiesa, un gesto che va oltre la semplice ammissione di colpe: è un passo verso la guarigione delle relazioni interne e verso la credibilità esterna della comunità ecclesiale.
Una Chiesa dei peccatori e non dei perfetti
Papa Francesco insiste sul fatto che la Chiesa è la comunità dei poveri e dei peccatori, non quella dei perfetti e dei giusti. Questo ribaltamento di prospettiva, che inverte la retorica del merito e della superiorità morale, è un invito a tutti i fedeli a riconoscersi bisognosi di perdono e misericordia. L’immagine del pubblicano con lo sguardo basso e pieno di vergogna, contrapposta a quella del fariseo arrogante e sicuro di sé, è un richiamo forte: il peccato, se riconosciuto, apre alla grazia; ma se nascosto o minimizzato, chiude alla misericordia e alimenta un sistema di ipocrisia.
Questo approccio è provocatorio perché, in un tempo in cui la Chiesa cerca di rispondere agli scandali e di riformarsi, parlare di “povertà spirituale” e di “Chiesa peccatrice” rischia di sembrare una strategia di autodifesa. Eppure, Francesco vuole mostrare come il riconoscimento del peccato non sia segno di debolezza, ma di forza e di verità. La Chiesa, dice, è credibile solo quando ammette i propri errori e cerca attivamente di riparare le ferite che essa stessa ha provocato.
Il peccato come ferita nelle relazioni
Uno dei passaggi più incisivi del discorso è quello in cui il Papa definisce il peccato come una ferita nelle relazioni, sia con Dio che con i fratelli e le sorelle. Questo punto è cruciale per comprendere la visione sinodale di Francesco: la Chiesa non è un’entità astratta, ma una comunità relazionale, e ogni peccato, individuale o istituzionale, ha conseguenze su tutti. Questa interconnessione tra i membri del Corpo di Cristo richiama un concetto già espresso più volte da Francesco: “tutto è connesso”, non solo nel bene, ma anche nel male.
È una visione radicale, che implica una corresponsabilità profonda. Non ci sono peccati “privati” o “individuali” che non abbiano ricadute sull’intera comunità. Da qui, l’insistenza del Papa sulla necessità di un perdono che non è solo chiesto a Dio, ma anche ai fratelli e alla creazione. Questo aspetto, inserito nel contesto di una riflessione sul Sinodo, suggerisce che la Chiesa deve affrontare con coraggio i propri peccati strutturali — come il clericalismo, l’ipocrisia e la chiusura — per poter diventare una comunità davvero aperta e inclusiva.
La conversione come punto di partenza per la sinodalità
Francesco sottolinea che una vera Chiesa sinodale non può esistere senza riconciliazione. Questo principio ha implicazioni profonde per il percorso sinodale. Non si tratta solo di elaborare documenti o discutere di riforme: il primo passo è la conversione del cuore. Una Chiesa che vuole camminare insieme deve prima ristabilire la comunione al suo interno, riconoscendo le ferite che la dividono e le colpe che l’hanno resa meno credibile agli occhi del mondo. Il Papa usa parole forti per descrivere questa dinamica: “Non possiamo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle”.
L’appello di Francesco alla confessione e al perdono reciproco è un richiamo a una Chiesa che sa fermarsi per esaminare se stessa prima di proseguire il cammino. In un certo senso, il Papa propone una “pausa” nel processo sinodale per guardare in faccia i propri limiti. È una sfida non facile: come accettare di essere una Chiesa ferita e fragile, in un mondo che ci chiede di essere sempre forti e sicuri? Eppure, è proprio in questa fragilità che Francesco vede la possibilità di un rinnovamento autentico.
Riconciliazione e missione: un binomio indissolubile
Un altro aspetto centrale del discorso è il legame tra riconciliazione e missione. Il Papa ribadisce che una Chiesa che non chiede perdono e non si lascia riconciliare con le sue vittime non può essere una Chiesa missionaria. In altre parole, l’efficacia della missione dipende dalla sincerità con cui la Chiesa affronta i propri peccati. Questo è particolarmente rilevante alla vigilia del Sinodo, che è chiamato a essere non solo un evento interno alla Chiesa, ma un segno per il mondo intero.
Se la Chiesa vuole testimoniare il Vangelo della misericordia e della giustizia, deve essere la prima a incarnare questi valori. Il richiamo del Papa è quindi a non separare mai la dimensione interna della conversione da quella esterna della missione. Una Chiesa riconciliata è una Chiesa capace di annunciare con credibilità e forza il Vangelo della riconciliazione. La parabola del lupo e dell’agnello che riescono a vivere insieme (Is 11,6) diventa così un’immagine di speranza, ma anche una sfida concreta per una Chiesa che vuole essere segno di pace in un mondo diviso.
Un sinodo che comincia con il perdono
Alla fine, l’invito di Francesco a iniziare questa seconda fase del Sinodo con una confessione collettiva e un atto di penitenza è un messaggio chiaro: non ci può essere sinodalità senza verità. Il cammino comune comincia solo quando ci si libera del peso dell’ipocrisia e si accetta la propria condizione di peccatori. È un atto di umiltà, ma anche di grande speranza: solo una Chiesa che sa chiedere perdono può sperare di diventare quella comunità credibile e profetica di cui il mondo ha bisogno.
La scelta del Papa di iniziare il Sinodo con questo gesto di penitenza non è solo simbolica, ma concreta: è un richiamo a tutti — vescovi, laici, religiosi — a guardare dentro di sé prima di guardare fuori. È un modo per dire che il cammino sinodale non è solo un percorso istituzionale, ma un vero e proprio itinerario spirituale, che deve partire dalla verità del cuore.