Mentre l’attenzione globale è concentrata su Gaza e Hamas, in Cisgiordania si sta consumando un’altra tragedia silenziosa, una campagna militare israeliana che sta ridisegnando il territorio con la forza, a suon di demolizioni, sfollamenti e repressione.
Le parole del premier Benjamin Netanyahu sono chiare: “Stiamo entrando nelle roccaforti del terrorismo, abbattendo interi quartieri, distruggendo le loro case. Stiamo eliminando i terroristi e i loro comandanti.” Un linguaggio che non lascia spazio a sfumature: ogni abitante dei campi profughi di Tulkarem e Nur Shams è considerato un nemico o un fiancheggiatore del terrorismo. E così, con questa retorica, l’esercito israeliano da un mese occupa ampie porzioni della città di Tulkarem, con un’offensiva che ricorda il trattamento riservato a Jenin e Nablus.
Ma qui non si tratta solo di “colpire i terroristi”. Qui si sta mettendo in atto una pulizia sistematica di interi quartieri, dove infrastrutture, abitazioni e attività commerciali vengono cancellate dalla mappa. Il risultato? Oltre 30.000 sfollati in un mese, il più grande spostamento di popolazione in Cisgiordania negli ultimi decenni.
Demolizioni, sfollamenti e repressione: la nuova strategia israeliana
L’offensiva segue direttrici precise. A metà febbraio sono state annunciate 14 demolizioni di case, ma secondo le testimonianze locali il numero effettivo è molto più alto. Faisal Salama, capo del Comitato popolare del campo, denuncia che non si tratta solo di distruggere abitazioni, ma di radere al suolo l’intero tessuto urbano e sociale:
• Acquedotti, reti fognarie, elettricità: tutto distrutto.
• Scuole e ospedali resi inagibili.
• Centri commerciali e negozi ridotti in macerie.
Non è un’operazione “chirurgica” contro gruppi armati, è una campagna punitiva contro un’intera popolazione. Israele sta ridisegnando la Cisgiordania, non solo con le colonie, ma anche con una nuova geografia del terrore: i campi profughi vengono svuotati e trasformati, con la costruzione di nuove arterie che favoriranno le future incursioni militari. Alcuni testimoni descrivono come le nuove strade interne ai campi formeranno una croce, un simbolo inquietante di un progetto di controllo permanente.
Dove porterà questa strategia?
Il messaggio di Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant è chiaro: Tulkarem è solo l’inizio. Jenin e Nablus sono già state colpite duramente, e ora altri campi profughi della Cisgiordania temono di essere i prossimi. L’obiettivo sembra quello di neutralizzare qualsiasi possibile resistenza palestinese, annientando le sue basi sociali prima ancora di quelle militari.
Ma qui emerge la vera domanda: cosa succederà dopo?
Se l’operazione fosse davvero mirata solo a “smantellare il terrorismo”, ci si aspetterebbe che, una volta conclusa, l’esercito si ritiri e la situazione si normalizzi. Ma non è così. Quello che stiamo vedendo in Cisgiordania non è una semplice operazione di sicurezza, ma una trasformazione permanente del territorio:
• I coloni israeliani avanzano e consolidano nuove posizioni.
• L’Autorità Palestinese, già debole, viene ulteriormente delegittimata.
• Lo Stato palestinese diventa sempre più una chimera.
Hagar Shazaf e Jack Khoury, su Haaretz, lo hanno scritto chiaramente:
“Israele usa la ‘guerra al terrore’ come scusa per distruggere le infrastrutture, evacuare la popolazione e mantenere una presenza militare permanente. Per i coloni, che vogliono eliminare la possibilità di uno Stato palestinese, queste azioni sono benvenute.”
Ecco il punto: questa offensiva non sta solo eliminando cellule armate, sta erodendo ogni possibilità di futuro per i palestinesi in Cisgiordania.
L’ipocrisia della comunità internazionale
Mentre Gaza è al centro dell’attenzione mondiale, la Cisgiordania sta vivendo una catastrofe silenziosa. L’ONU ha condannato la violenza dei coloni, gli USA hanno espresso preoccupazione, l’Unione Europea ha chiesto moderazione. Ma tutti guardano altrove.
Perché?
Perché il discorso dominante è ancora lo stesso: Hamas è il vero problema, e tutto il resto passa in secondo piano. Ma la realtà è un’altra: la Cisgiordania non è governata da Hamas, eppure sta subendo una repressione senza precedenti. I campi profughi non sono roccaforti militari, eppure vengono distrutti. I bambini e le famiglie palestinesi non sono terroristi, eppure vengono sfollati.
Se la comunità internazionale permette che questo accada senza conseguenze, sta implicitamente dando il via libera a un nuovo assetto del conflitto: non più due Stati, non più una soluzione negoziata, ma l’annientamento progressivo della possibilità stessa di una Palestina sovrana.
Conclusione: La Cisgiordania sta bruciando. Quanto ancora si farà finta di niente?
L’offensiva su Gaza ha monopolizzato l’attenzione mediatica, ma nel frattempo in Cisgiordania si sta consumando un disegno più sottile e altrettanto devastante.
• Si distruggono case, scuole, ospedali.
• Si sfollano decine di migliaia di persone.
• Si tracciano nuove linee sul territorio, mentre i coloni avanzano.
Il mondo resterà ancora a guardare, fingendo di non vedere? Fino a quando l’ipocrisia della “lotta al terrorismo” potrà nascondere una ristrutturazione violenta del territorio palestinese?
Se la risposta sarà il silenzio, allora non sarà più solo la Cisgiordania a bruciare. Sarà il sogno di una pace giusta e duratura a ridursi in cenere.