La realtà internazionale è profondamente segnata da crisi di governabilità operanti a vari livelli.
APPROFONDIMENTI: Nel delicato scenario geopolitico attuale proiettato alla Terza Guerra Mondiale è necessario porre in azione nelle competenti sedi di governace globale la strategia operativa tesa al passaggio sistemico dalla logica dei blocchi contrapposti ad una visione integrale delle relazioni tra stati che compongono il poliedro della nostro pianeta.
Sembra cruciale entrate in una valutazione maggiormente sofisticata rispetto alla dicotomia buoni e cattivi, ricchi e poveri, nord e sud, oriente e occidente. Serve un’altezza politica, una valutazione integrale e sociale, politica ed economica di ogni paese, delle tradizioni e della culture per dare al multilateralismo la capacità di convocazione costituente.
Una costituente panumana delocalizzata per materie in diverse macro area ad elevata tensione internazionale. È necessità urgente di “fare rete” tra le diverse istituzioni che, in ogni parte del mondo, coltivano e promuovono l’idea di una soluzione diversa rispetto alla logica binaria del vinto e del vincitore, attivando con decisione le opportune sinergie anche con le istituzioni accademiche dei diversi Paesi e con quelle che si ispirano alle diverse tradizioni culturali e religiose, dando vita al contempo a progetti di ricerca-azione finalizzati a studiare i problemi di portata epocale che investono oggi l’umanità, giungendo a proporre opportune e realistiche piste di risoluzione.
Come ha sottolineato il Santo Padre nella Laudato sì, «dalla metà del secolo scorso, superando molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune». La presa di coscienza di questa interdipendenza «ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune».
Dobbiamo lanciare un progetto internazionale di pace attiva chiamato a sperimentare il fermento di unità nella diversità e di comunione nella libertà, esigendo da tutti gli stati convocati «la polarità tensionale tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il multiplo, tra il semplice e il complesso. »
L’idea è rendere le aree del mondo attualmente in conflitto zone extraterritoriali di pace attiva, nodi della rete panumana, determinando immediata distensione. In quelle zone del mondo non ci deve essere la logica del vinto e del vincitore. Insieme tutti gli stati del mondo si prendono cura del futuro, nella collaborazione e sinfonia della diversità, dichiarando di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
Un progetto sfidante che mette le gradi potenze del mondo difronte ad una grande opportunità, quella di essere i garanti del futuro di prosperità e benessere integrale. Una gloria riconosciuta dalle scelte più alte che portano verso uno sviluppo integrale della nostra casa comune.
Una politica tesa alla sua costruzione pacifica, che appartiene a tutti i popoli, anche a quelli attualmente belligeranti, ostacolata da una visione di conservazione del potere polarizzato come dominio di una parte contro l’altra.
Oggi non possiamo più permetterci la logica dello scontro, di conquistare lo spazio degli altri, di annientare le altrui tradizioni e aspirazioni per aumentare le ricchezze, le potenze, il primato. Dobbiamo voltare pagina e ribaltare il copione con genialità superando il paradigma antropocentrico tecnocratico del super io artificialmente aumentato da una tecnologia che procede a velocità altissima contro la dignità integrale.
La forma di stato nella tradizionale forma nazionale, sovrana, armata, confinaria, mostra di non aver più tutte le capacità che sono necessarie per rispondere alla sua stessa ragion d’essere: la vita e il benessere delle persone. È necessario lavorare insieme per una nuova governance del bene comune. Nella cultura moderna, il riferimento più vicino al principio della dignità inalienabile della persona è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che San Giovanni Paolo II ha definito “pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano”, e come “una delle più alte espressioni della coscienza umana”. Con la carta delle Nazioni Unite (1945) e la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) si è aperta una nuova era nella storia dell’umanità.
Il principio secondo cui “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” prende il posto del principio di sovranità degli stati.
Può avere così inizio una rivoluzione copernicana nell’ordinamento internazionale: la dignità umana come fulcro, perno di un equilibrio integrale fondato sull’isonomia formale e sostanziale, sul diritto e dovere di solidarietà economica, politica e sociale teso allo sviluppo integrale della persona umana in relazione integrale con i territori del mondo.
Una proiezione vivente che guarda al futuro valorizzando il sano desiderio dell’io nel noi globale. Una fraternità che supera i muri del confine territoriale dello stato sovrano per valorizzare il superiore interesse alla dignità ontologica.
Già nel Preambolo della Dichiarazione universale si possono cogliere principi assolutamente innovativi per il sistema delle relazioni internazionali, in particolare come ricorda Papisca quello secondo cui il rispetto della dignità che inerisce a “tutti i membri della famiglia umana” e dei loro diritti eguali e inalienabili sta alla base della libertà, della giustizia e della pace nel mondo, dunque anche dell’ordine mondiale: il valore della dignità umana è posto al di sopra della sovranità degli stati. Nel Preambolo troviamo il fondamento della diplomazia della cultura e della correlata via di pace attiva laddove è affermato che la migliore garanzia dei diritti umani è quella che previene la loro violazione e che, quindi, lo strumento più efficace per la promozione dei diritti della persona e dei popoli sono l’insegnamento e l’educazione.
In tale prospettiva l’articolo 1 dice chiaramente qual è il fondamento dei diritti umani: è l’essere umano in quanto tale. Si nasce con i diritti e le libertà fondamentali. Continuando nello scorrere l’alta riflessione di Papisca “Il legislatore, nel nostro caso il legislatore internazionale, non ‘crea’ né ‘concede’ i diritti umani, ma li “riconosce”. I diritti umani preesistono alla legge scritta. I diritti umani siamo noi. In virtù del riconoscimento giuridico dei diritti umani ciascuno di noi può a giusto titolo dire: “La Loi c’est moi” (la Legge sono io), beninteso la legge fondamentale, non il privilegio o il capriccio o il lusso. Dire diritti umani significa dire consapevolezza di altissima responsabilità personale e sociale, da spendere in termini di solidarietà e di servizio alla comunità.”
Come indicato nella Dichiarazione Dignitas Infinita la dignità di ogni persona umana, proprio perché intrinseca, rimane “al di là di ogni circostanza”, ed il suo riconoscimento non può assolutamente dipendere dal giudizio sulla capacità di intendere e di agire liberamente delle persone. Solo riconoscendo all’essere umano una dignità intrinseca, che non può mai essere perduta, è possibile garantire a tale qualità un inviolabile e sicuro fondamento. Senza alcun riferimento ontologico, il riconoscimento della dignità umana oscillerebbe in balìa di differenti ed arbitrarie valutazioni. L’unica condizione, dunque, per poter parlare di dignità per sé inerente alla persona è la sua appartenenza alla specie umana, per cui «i diritti della persona sono i diritti dell’uomo»
La dignità ontologica è la pietra filosofale dell’ordinamento internazionale panumano che rende possibile il passaggio al paradigma della fratellanza umana per costruire uno sviluppo integrale della personale umana nella sinfonia delle diversità per il futuro ecologico integrale della nostra casa comune. È in tale sentiero che dal basso, con umiltà e tenerezza è possibile rendere viventi le vocazioni alla costruzione della polis comportandosi secondo le esigenze della dignità e del rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani (cf. Rm 13, 8-10), secondo il comandamento nuovo della carità (cf. 1Cor 13, 1-13).
Ogni persona è chiamata infatti a manifestare a livello esistenziale e morale la portata ontologica della sua dignità nella misura in cui con la propria libertà si orienta verso il vero bene. La persona umana non perde mai la sua dignità e mai smette di essere chiamata ad accogliere liberamente il bene; d’altra parte, in quanto la persona umana risponde al bene, la sua dignità può liberamente, dinamicamente e progressivamente manifestarsi, crescere e maturare.
Ciò significa che l’essere umano deve anche cercare di vivere all’altezza della propria dignità.
Una dignità ontologica che può essere approfondita nel sentiero tracciato dal Magistero, nella Dichiarazione Dignitas Infinita: “ Ogni essere umano è amato e voluto da Dio per sé stesso e quindi è inviolabile nella sua dignità. Nell’Esodo, cuore dell’Antico Testamento, Dio si mostra come colui che ascolta il grido del povero, vede la miseria del suo popolo, si prende cura degli ultimi e degli oppressi (cf. Es 3, 7; 22, 20-26). Si ritrova lo stesso insegnamento nel Codice deuteronomico (cf. Dt 12-26): qui l’insegnamento sui diritti si trasforma in “manifesto” della dignità umana, in particolare a favore della triplice categoria dell’orfano, della vedova e del forestiero (cf. Dt 24, 17). Gli antichi precetti dell’Esodo vengono richiamati e attualizzati dalla predicazione dei profeti, i quali rappresentano la coscienza critica di Israele. I profeti Amos, Osea, Isaia, Michea, Geremia hanno interi capitoli di denuncia dell’ingiustizia. Amos rimprovera aspramente l’oppressione del povero, il non riconoscere al misero nessuna fondamentale dignità umana (cf. Am 2, 6-7; 4, 1; 5, 11-12). Isaia pronuncia una maledizione contro coloro che calpestano i diritti dei poveri, negando loro ogni giustizia: «guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri» (Is 10, 1-2). Questo insegnamento profetico è ripreso dalla letteratura sapienziale. Il Siracide equipara l’oppressione dei poveri all’omicidio: «uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio» (Sir 34, 22).
Nei Salmi, il rapporto religioso con Dio passa attraverso la difesa del debole e del bisognoso: «difendete il debole e l’orfano, al povero e al misero fate giustizia! Salvate il debole e l’indigente, liberatelo dalla mano dei malvagi!» (Sal 82, 3-4).”
Nel sentiero di offrire una strada per costruire un processo di pace attiva in armonia con il Documento di Fratellanza Umana si inscrive la forte convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune; a ristabilire la saggezza, la giustizia e la carità e a risvegliare il senso della religiosità tra i giovani, per difendere le nuove generazioni dal dominio del pensiero materialistico, dal pericolo delle politiche dell’avidità, del guadagno smodato e dell’indifferenza, basate sulla legge della forza e non sulla forza della legge. È un processo di costruzione relazionale delicato e complesso, prezioso e sfaccettato, sofisticato e integrale, nella consapevolezza come ricorda Papa Francesco che «ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale. Ognuno lo possiede, anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; infatti, ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona umana, che non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere. Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità».