L’omicidio di Brian Thompson, amministratore delegato di UnitedHealthcare, avvenuto a Manhattan in un’area gremita e sotto gli occhi di una polizia apparentemente impotente, non rappresenta solo un tragico episodio di violenza urbana, ma diventa un prisma attraverso cui osservare le dinamiche inquietanti della società contemporanea. L’aspetto più scioccante non risiede tanto nell’atto criminale in sé, quanto nella risposta sociale: una celebrazione pubblica e mediatica che ha trasformato il presunto assassino, Luigi Mangione, in una sorta di eroe moderno, un “Robin Hood” senza redistribuzione.

La normalizzazione dell’odio

Il fenomeno della celebrazione di atti di violenza non è nuovo, ma i social media ne hanno amplificato la portata. Video, post e meme su piattaforme come TikTok e Instagram non solo documentano l’episodio, ma spesso lo glorificano, rendendo l’omicidio un intrattenimento disumanizzante. Questo comportamento rivela un crescente distacco dalla realtà della sofferenza umana. Come sottolinea Neil Postman nel suo libro Amusing Ourselves to Death, l’infotainment riduce eventi tragici a spettacoli, distorcendo la percezione delle conseguenze reali delle azioni.

Dietro questa distorsione vi è un terreno fertile di risentimento collettivo: verso il sistema sanitario, il capitalismo, o altre strutture percepite come oppressive. Tuttavia, trasformare un atto di violenza in un simbolo di protesta contro tali sistemi non solo è eticamente problematico, ma mina anche la possibilità di cambiamento costruttivo.

Le radici del risentimento

L’episodio riflette una società divisa, in cui la rabbia per l’ingiustizia economica, le disuguaglianze e le tensioni politiche si esprime sempre più attraverso la violenza e la polarizzazione. La percezione di un sistema ingiusto alimenta il risentimento, come evidenziato dal testo. Questo sentimento è trasversale: a destra, si manifesta con la rabbia contro il “risveglio” e le minoranze; a sinistra, con il ribaltamento di diritti acquisiti, come Roe v. Wade. In entrambi i casi, la retorica dell’odio si è normalizzata, rendendo accettabile demonizzare pubblicamente il “nemico”.

Le analogie storiche non mancano. Il linguaggio disumanizzante, usato per descrivere gruppi o individui come “vermi” o “mostri”, ha sempre preceduto atti di violenza sistemica, dai genocidi agli stermini di massa. La lezione della storia è chiara: la disumanizzazione è il primo passo verso il collasso morale.

La fragilità umana e la violenza

Dietro il gesto di Mangione vi sono probabilmente motivazioni personali complesse: dolore fisico, disturbi mentali o frustrazione sociale. Tuttavia, qualsiasi siano state le sue ragioni, il suo atto rappresenta una tragedia moltiplicata: non solo ha tolto la vita a Brian Thompson, ma ha distrutto anche la propria e ha inflitto dolore incalcolabile alla famiglia della vittima. Come Caino nell’Antico Testamento, il risentimento ha trasformato il suo dolore in violenza.

Il testo sottolinea una verità fondamentale: la crudeltà è antica quanto l’umanità, ma ciò non giustifica il suo perpetuarsi. L’alternativa è una cultura della riconciliazione e della giustizia che trasformi il risentimento in azioni costruttive.

La responsabilità collettiva

Gli eventi di Manhattan ci ricordano che la società non può permettersi di restare spettatrice. La glorificazione di atti di violenza e la normalizzazione dell’odio richiedono una risposta decisa, non solo da parte delle autorità, ma anche delle comunità religiose, educative e culturali.

La Chiesa cattolica, attraverso il messaggio di Papa Francesco, invita a un’azione basata sulla misericordia e sul perdono, opponendosi alla logica della vendetta. Come evidenziato nella recente revisione del Catechismo, la dignità della persona umana è inviolabile, indipendentemente dalle colpe commesse. Questo principio si estende anche al modo in cui affrontiamo le ingiustizie: la vendetta, personale o sistemica, non è mai la risposta.

Ritrovare la speranza

L’assassinio di Brian Thompson e la reazione che ne è seguita sono un sintomo di una società che ha perso il senso della speranza e della compassione. Eppure, come ricorda il Papa, anche nel dramma della storia, la presenza di Dio può trasformare il dolore in redenzione. Per farlo, è necessario riscoprire il valore della vita umana e rifiutare ogni forma di disumanizzazione.

La vera protesta contro le ingiustizie non si compie attraverso la violenza, ma attraverso la costruzione di una società più giusta e compassionevole. Solo così si può rompere il ciclo del risentimento e della crudeltà, offrendo una speranza reale e duratura a chi soffre.