MAFIA: Otto anni dopo l’omicidio di Maria Chindamo, l’imprenditrice agricola di 42 anni, di Laureana di Borrello (Reggio Calabria), sequestrata e poi data in pasto ai maiali ancora viva, i giudici della Corte d’Assise di Catanzaro da qualche giorno sono chiamati ad accertare i motivi e le responsabilità dell’omicidio, avvenuto il 6 maggio del 2016, davanti la sua azienda agricola. Le indagini della Procura distrettuale hanno consegnato alla Corte il nome del probabile mandante e quello di colui che ne avrebbe occultato il cadavere.
A decidere l’eliminazione della donna sarebbe stato Vincenzo Punturiero, il suocero — legato da vincoli di parentela con i Bellocco di Rosarno —, morto un anno dopo la sua scomparsa. Attribuiva a Maria la causa del suicidio del figlio, Ferdinando Punturiero, impiccatosi un anno prima dell’agguato ai danni della donna. Ad essere giudicato, quindi, sarà il solo Salvatore Ascone, 57 anni, braccio destro dei Mancuso di Limbadi, indicato dai magistrati come uno dei sequestratori di Maria.
«In questa terra succede anche che un nonno, canta le filastrocche ai nipoti e nel contempo elabora l’idea di uccidere la loro mamma, sua nuora», dice Vincenzo Chindamo, fratello di Maria. Dal giorno della sua scomparsa, Vincenzo non si è fermato un solo istante, pretendendo verità e giustizia.
«La cultura della ‘ndrangheta infetta e si insinua in tante famiglie calabresi, prende le redini e riesce a mascherare odio e vendetta, all’insaputa di tutti», afferma Vincenzo. «È stato così anche per la famiglia di mia sorella. Suo marito Ferdinando era un brav’uomo, ma suo padre, ha saputo nascondere a mia sorella e ai suoi nipoti il suo vero carattere di uomo duro, violento». Vincenzo Puntoriero non ha sopportato «’u scornu», la vergogna di una nuova relazione sentimentale che Maria aveva intrecciato con un poliziotto, dopo il suicidio del marito. «Vincenzo Punturiero non avrebbe sopportato quest’onta e avrebbe indicato non solo di uccidere Maria, ma anche il modo per farla scomparire. Maria aveva percepito qualcosa. Era timorosa, non era affatto serena: non pensava mai, però, che l’acredine del suocero potesse arrivare sino a farla uccidere».
Seppure piccoli, al momento della scomparsa della loro mamma, anche i figli della donna, Vincenzino junior, Federica e Letizia, hanno intuito la brutalità del loro nonno. «Ricordo — dice Vincenzo — che il giorno della scomparsa di Maria non sapevo come dirlo a Federica, all’epoca 15enne. Non trovavo le parole giuste. Lei mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “C’entra il nonno, vero?”» La nuova relazione aveva ridato il sorriso a mia sorella, la speranza di un futuro diverso.
«Aveva riacquistato la voglia di vivere ma, probabilmente, questo ha generato risentimenti nei Punturiero», dice Vincenzo. «Era una donna tosta e, anche la ‘ndrangheta si era accorta della sua testardaggine quando, hanno tentato di accaparrarsi le sue terre. Ha stretto i denti, si è riorganizzata la vita si era ritagliata il suo spazio. Atteggiamenti che ancora oggi, da queste parti, sono considerati tabù», annota Vincenzo.
La storia di Maria Chindamo è diventata anche uno spettacolo teatrale: «Io parlo, io sono libera di parlare ancora». La rappresentazione è itinerante ed è materia di studio nelle scuole. È diventato un’attività didattica per far conoscere il profilo sociale del caso.
La N’drangheta è questo schifo.