EDITORIALE: La caduta dell’Unione Sovietica ha segnato l’inizio di un’era di unipolarità, conferendo agli Stati Uniti un potere senza precedenti. Washington è diventata la prima e unica superpotenza mondiale, con influenza in ogni regione del globo. Questo potere ha spinto gli Stati Uniti a espandere la propria influenza globale, spesso senza considerare appieno le implicazioni a lungo termine delle loro azioni.
Negli anni ‘90 e nei primi anni 2000, la convinzione che il modello americano di libertà, democrazia e libera impresa fosse universalmente preferibile ha guidato le politiche estere degli Stati Uniti. Washington ha ampliato la NATO fino ai confini della Russia e ha sostenuto l’integrazione economica globale attraverso l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tuttavia, mentre l’egemonia americana iniziava a svanire, il disallineamento tra gli interessi degli Stati Uniti e quelli delle potenze emergenti è diventato evidente. Queste nazioni, soffocate dalle regole dell’ordine internazionale vigente, hanno iniziato a sfidare apertamente la leadership americana.
Il cambiamento di atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della Cina è emblematico di questo spostamento. Nel 2002, l’amministrazione Bush vedeva la Cina come un partner economico in crescita. Solo quindici anni dopo, la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti descriveva la Cina come una potenza revisionista, intenzionata a creare un mondo antitetico ai valori americani. Questo cambiamento riflette la crescente frustrazione americana verso un ordine mondiale che non sembra più servire i suoi interessi come un tempo.
L’emergere di Donald Trump ha segnato un punto di svolta nella politica estera americana. Durante il suo primo mandato, Trump ha rifiutato la tradizionale politica estera interventista, preferendo un approccio più realistico e transazionale. Ha chiesto agli alleati di pagare di più per la propria difesa e ha cercato di ridurre gli impegni militari degli Stati Uniti all’estero. Questo approccio ha trovato riscontro tra molti americani, che vedono la necessità di un cambiamento, preferendo un’America che si concentri sui propri interessi piuttosto che su quelli globali.
La politica di Trump ha enfatizzato l’uso della leva economica piuttosto che militare, cercando di risolvere le controversie attraverso sanzioni e tariffe piuttosto che con interventi militari. Ha cercato di rinegoziare accordi commerciali e di ridurre la dipendenza degli Stati Uniti da fonti di energia straniere, promuovendo l’autosufficienza energetica come mezzo per rafforzare l’economia nazionale.
Durante il suo primo mandato, gli impulsi realistici di Trump sono stati spesso attenuati dai membri del suo staff per la sicurezza nazionale che non condividevano la sua visione. Tuttavia, con un secondo mandato, è probabile che questi impulsi trovino un’espressione più completa. Trump probabilmente si ritirerà da alcuni impegni degli Stati Uniti nel Medio Oriente, chiederà agli alleati in Asia e in Europa di pagare di più per la propria sicurezza e si concentrerà sulla competizione con la Cina, cercando di evitare il conflitto militare e una nuova guerra fredda.
La realtà è che, dopo quasi 80 anni di leadership degli Stati Uniti, il mondo è entrato in una fase di transizione da un ordine egemonico a un equilibrio di potere ripristinato. Questo nuovo ordine sarà caratterizzato da dissenso globale, disarmonia e competizione tra grandi potenze. Gli Stati Uniti, un tempo titano indiscusso, sono diventati una nazione stanca, meno in grado di onorare gli impegni esterni e meno interessata a farlo.
L’ascesa di Trump e il suo appello ai suoi seguaci riflettono un desiderio di riorientare la politica estera americana verso un realismo che pone l’interesse nazionale al di sopra degli ideali globali. Questo cambiamento non è solo una risposta alle personalità politiche, ma il risultato di forze strutturali profonde. Gli Stati Uniti devono adattarsi a un nuovo ruolo nel mondo, uno che riconosca i limiti del proprio potere e si concentri su ciò che è veramente essenziale per il benessere nazionale.