Dal 24 febbraio 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il racconto mediatico italiano ha oscillato tra il sostegno incondizionato a Kiev e le voci più critiche che denunciano il protrarsi del conflitto come un errore strategico dell’Occidente. Il dibattito non si è limitato alle arene politiche e diplomatiche, ma è diventato un elemento centrale nei media italiani, spesso trasformandosi in propaganda piuttosto che in un’analisi approfondita della realtà.
L’invio di armi da parte dell’Italia, una posizione ormai consolidata dei governi Draghi e Meloni, è stato raccontato dai principali organi di stampa come un atto dovuto, quasi inevitabile. Il messaggio diffuso dalla maggioranza della stampa e dalle televisioni è chiaro: sostenere l’Ucraina militarmente significa difendere la democrazia e la sicurezza europea. Un ragionamento che si basa su premesse reali, ma che lascia poco spazio alla riflessione su possibili alternative diplomatiche.
Chiunque metta in discussione questa narrativa, anche senza sposare la causa russa, viene spesso dipinto come “filoputiniano” o “disfattista”. In questo scenario si inserisce la figura di Alessandro Orsini, professore di sociologia del terrorismo, che fin dall’inizio ha messo in guardia sui rischi dell’escalation e sulla possibilità che l’Occidente stesse spingendo l’Ucraina verso un conflitto senza via d’uscita. Una posizione che inizialmente ha suscitato reazioni indignate, ma che, con il passare dei mesi, sta trovando sempre più riscontro nella realtà.
Orsini: da voce isolata a ipotesi sempre più concreta
Alessandro Orsini è stato, fin dalle prime settimane del conflitto, uno degli analisti più critici verso la strategia occidentale. Ha più volte sottolineato come l’invio di armi non stesse portando alla vittoria dell’Ucraina, ma a un prolungamento del conflitto con conseguenze devastanti per la popolazione civile e per l’equilibrio geopolitico globale.
Le sue previsioni si stanno rivelando accurate: mentre all’inizio della guerra si parlava di una Russia in difficoltà, oggi la situazione è diversa. Le forze ucraine faticano a mantenere il fronte, l’offensiva del 2023 non ha portato i risultati sperati e l’Occidente si trova sempre più diviso sulla necessità di continuare a inviare aiuti militari.
Eppure, Orsini continua a essere trattato dai media mainstream come un’eccezione, un outsider che mette in dubbio certezze che sembrano intoccabili. Il suo isolamento nel dibattito pubblico italiano è sintomatico di un problema più ampio: la difficoltà dei media nel gestire opinioni divergenti quando si parla di guerra e politica internazionale.
Trump e la promessa irrealistica di “risolvere la guerra in 24 ore”
A rendere ancora più complesso il dibattito è intervenuta la narrazione propagandistica di Donald Trump, che ha dichiarato più volte di poter porre fine alla guerra in Ucraina in sole 24 ore. Un’affermazione che ha trovato eco anche in Italia, soprattutto in alcuni ambienti politici e mediatici che vedono nella sua leadership una possibile svolta rispetto alle politiche di Biden e dell’Unione Europea.
Ma è davvero possibile risolvere un conflitto di tale portata in così poco tempo?
La risposta è ovviamente no, a meno di non accettare soluzioni radicali e inaccettabili per una delle parti in causa. L’ipotesi più plausibile è che Trump intendesse forzare l’Ucraina a una trattativa al ribasso, accettando la perdita dei territori occupati dalla Russia in cambio della cessazione delle ostilità. Un’opzione che Zelensky ha più volte respinto, così come gran parte dell’opinione pubblica occidentale.
Eppure, la proposta di Trump ha avuto un impatto mediatico enorme, proprio perché gioca sulla percezione di un Occidente stanco di una guerra che sembra non avere sbocchi. La sua retorica è stata ripresa da alcuni politici italiani, tra cui Matteo Salvini e membri della destra più radicale, che vedono nella fine del sostegno militare a Kiev una via per chiudere il conflitto senza ulteriori costi per l’Europa.
Il ruolo dei media italiani: informazione o propaganda?
In questo contesto, la gestione dell’informazione da parte dei media italiani solleva questioni fondamentali. La guerra in Ucraina è stata trattata quasi esclusivamente attraverso il filtro della propaganda occidentale, con una copertura squilibrata che ha lasciato poco spazio alle analisi più critiche.
L’assenza di un vero dibattito pubblico ha portato a una polarizzazione estrema: da un lato, chi sostiene la necessità di inviare armi a oltranza e di non cedere alle richieste russe; dall’altro, chi viene etichettato come filorusso per aver semplicemente avanzato dubbi sulla strategia in corso.
Un esempio emblematico di questa distorsione è proprio la figura di Orsini. Mentre le sue previsioni sembrano trovare conferme nei fatti, i principali organi di stampa continuano a marginalizzarlo, preferendo dare spazio a esperti allineati con la posizione ufficiale della NATO e dell’Unione Europea.
Allo stesso modo, la narrazione di Trump viene trattata in modo superficiale: se da un lato viene giustamente criticata per la sua irrealizzabilità, dall’altro non si analizzano le ragioni del suo successo presso una parte dell’opinione pubblica. La sua promessa di risolvere la guerra rapidamente non è credibile, ma risponde a un bisogno reale: quello di trovare una via d’uscita a un conflitto che sta logorando l’Occidente e che rischia di trascinarsi per anni senza una soluzione concreta.
La necessità di un’informazione più equilibrata
La guerra in Ucraina ha dimostrato quanto sia difficile per i media italiani mantenere un equilibrio tra informazione e propaganda. L’invio di armi a oltranza è stato presentato come l’unica strada possibile, mentre voci dissenzienti come quella di Orsini sono state relegate ai margini del dibattito. Allo stesso tempo, la narrazione semplicistica di Trump ha trovato spazio senza una reale analisi delle sue implicazioni.
Per affrontare il conflitto con maggiore lucidità, sarebbe necessario un approccio mediatico più onesto e aperto al confronto. La guerra non si combatte solo con le armi, ma anche con le idee, e il primo passo per trovare una soluzione passa da un’informazione più pluralista e meno schiava delle logiche propagandistiche.