Storditi come siamo dalla civiltà dei consumi, dove il potere, l’avere e il sapere rappresentano gli strumenti della realizzazione mondana, rischiamo di dimenticare quanto sia rivoluzionaria la nascita di Gesù.
L’idea che Dio diventa uomo e dimora tra noi, in circostanze sia umili che umilianti, ha formato gran parte della nostra tradizione umanistica.
Per la maggior parte dei cristiani, l’incarnazione è il punto di svolta della storia.
Nel dualismo di Platone, c’era una drammatica disgiunzione tra forme ideali e corpi reali, tra il mondo fisico e quello spirituale.
Secondo Platone, ciò che percepiamo con i nostri sensi è illusorio, un’ombra distorta della realtà. Da qui l’immaginario più famoso della filosofia – l’ombra di Platone sulla grotta – dove quelli nella grotta hanno scambiato le ombre per persone reali e le hanno chiamate.
Questa visione platonica ebbe una notevole influenza nella chiesa primitiva, ma quell’influenza svanì perché era in tensione con gli insegnamenti più profondi del cristianesimo.
Nella Bibbia ebraica, per esempio, Dio dichiara buona la creazione – e Gesù, essendo entrato nel mondo, ha ratificato quel giudizio.
L’incarnazione attesta l’esistenza del mondo fisico e materiale.
Le nostre esperienze di vita sono reali, non ombre.
L’incarnazione afferma la gioia che prendiamo nella bellezza terrena e il nostro obbligo di prenderci cura della creazione di Dio. Questo è stato un drammatico ribaltamento del pensiero antico.
L’incarnazione rivela anche che il principio divino che governa l’universo è un impegno radicale per la dignità e il valore di ogni persona, poiché siamo creati nell’immagine divina.
Ma altrettanto fondamentale è la nozione che abbiamo valore perché Dio ci valorizza.
L’oro è prezioso non perché c’è qualcosa nell’oro che è intrinsecamente di grande valore, ma perché qualcuno lo apprezza.
Allo stesso modo, gli esseri umani hanno valore perché siamo apprezzati da Dio, che ha assunto carne, è entrato nel nostro mondo e ha condiviso le nostre esperienze: amore, gioia, compassione e amicizie intime; rabbia, dolore, sofferenza e lacrime.
Per i cristiani, Dio non è distante o distaccato; è un Dio delle ferite. Tutto questo ha elevato l’esperienza umana e ha gettato le basi per le idee di dignità individuale e diritti inalienabili.
Il Sermone della Montagna (beati i poveri nello spirito e i puri di cuore, i miti e i misericordiosi), il suo tocco ai lebbrosi e la sua solidarietà con emarginati e peccatori erano fondamentalmente in contrasto con il modo in cui i mondi greco e romano vedevano la vita, dove lo status sociale era tutto.
Il cristianesimo ha posto la carità al centro della sua vita spirituale come nessun culto pagano ha mai avuto e ha elevato la cura delle vedove, degli orfani, dei malati, dei imprigionati e dei poveri al livello dei più alti obblighi religiosi.
Oggi i cristiani stanno prendendo l’iniziativa contro la tratta di esseri umani e per conto della vita non ancora nata. Mantengono innumerevoli ospedali, ospizi e orfanotrofi in tutto il mondo.
Oggi forse crediamo che la compassione per i poveri e gli emarginati sia naturale e universale…
In realtà questa nostra sensibilità si è strutturata in larga misura grazie al cristianesimo. Quello che ha fatto il cristianesimo è la trasformazione del nostro modo di pensare verso i poveri e gli ammalati.
Un altro effetto dell’incarnazione è aiutare ad evitare di trasformare Dio in un insieme astratto di principi.
I racconti di come Gesù ha interagito in questo mondo disordinato, complicato e frammentato, attraverso azioni che hanno sbalordito le persone del suo tempo, ci permettono di imparare la compassione in modi che non sono mai stati trasmessi da un codice di regole morali.
Per prima cosa, i codici non possono versare lacrime o esprimere amore; gli esseri umani invece lo fanno.
Vedere come Gesù che ha affrontato le autorità religiose del suo tempo, spesso duramente, e i peccatori e gli emarginati del suo tempo, spesso teneramente e rispettosamente, aggiunge consistenza e sottigliezza alle relazioni umane che non potremmo mai ottenere altrimenti.
Lo abbiamo visto nelle Crociate, nelle guerre religiose e nel bigottismo; in opposizione alla scienza, nel modo in cui il pensiero critico è scoraggiato e nel duro giudizio.
Fino ad oggi, molti che si professano cristiani incarnano l’antitesi della grazia.
Noi cristiani faremmo bene a ricordare a noi stessi il vero significato dell’incarnazione.
Facciamo parte di un grande dramma a cui Dio ha scelto di partecipare, non nel ruolo di un re conquistatore ma come servitore sofferente, non con l’intenzione di condannare il mondo ma di riscattarlo.
Vedeva il valore inestimabile della vita umana, indipendentemente dallo status sociale, dalla ricchezza e dalle conquiste mondane, dall’intelligenza o dall’origine nazionale.
Così dovremmo fare anche noi verso il prossimo.